Regia di Steno vedi scheda film
L’operaio comunista, la sua donna e l’altro. Che poi altro lo è in tutti i sensi. Un diverso, come si diceva allora. Non so fino a che punto stesse nelle intenzioni di Stefano ed Enrico Vanzina la rivendicazione dei diritti dell’omosessuale. Ma non è importante, la commedia all’italiana sapeva fare proprio questo: porre la lente d’ingrandimento su costumi e tendenze del Paese, senza contaminare la storia di riferimenti ideologici e fotografando i comportamenti dell’italiano medio. Quello impersonato da Renato Pozzetto (al meglio della sua candida forma) è un italiano medio diverso, perché fa l’operaio, è comunista, sta nel sindacato e lotta per la parità quasi per mestiere. Con un realismo involontario che solo la commedia sa portare in dote, Steno mette su un film sui principi della classe operaia che si rivelano essere assai simili a quelli di certa borghesia: il contatto col diverso, con l’omosessuale, attacca i presupposti machi dell’operaio e lo pone in ridicolo di fronte a tutto l’ipocrita mondo circostante, compresa la progressivissima sinistra che è in realtà più reazionaria di quanto si creda.
Entra pure in gioco la donna del trio succitato (la più bella interpretazione di Edwige Fenech), reclamando l’uomo (forse) perduto con le tette che l’altro non ha (“sarà pure carino ma queste non ce l’ha!”), ma anche lei si accorge che la verità è un’altra. Curiosamente è un film che mette in scena la lotta e finisce per essere proprio un inconscio film di lotta che si schiera dalla parte dell’amore. Come dice Pozzetto: “prima o poi anche il partito dovrà occuparsi di quel problema lì”. Passati trent’anni, il problema resta lì. Uno dei migliori film di quel grande artigiano che fu Steno, clamorosa interpretazione di un Massimo Ranieri in credibile versione omosex e un memorabile tango dei due protagonisti maschili.
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