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Pat Garrett e Billy the Kid

Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Pat Garrett e Billy the Kid

di noodless94
10 stelle

Rilettura malinconica e meno eroica (ma per questo non meno epica) del vecchio west e del crepuscolo di un’epoca, suggellata dalla musica di Bob Dylan.

There's guns across the river aimin' at ya

Lawman on your trail, he'd like to catch ya

Bounty hunters, too, they'd like to get ya

Billy, they don't like you to be so free.

 

Pat Garrett e Billy the kid è il suono malinconico di un’armonica, il cadere delle foglie durante l’autunno, il tramonto che suggella l’arrivo della notte che porta con sé tanti interrogativi e troppi rimpianti. L’opera di Sam Peckinpah si prende il compito di rileggere le classiche tematiche del western americano, il genere per eccellenza del cinema a stelle e strisce. 

Il processo di rilettura era già passato attraverso diversi autori durante gli anni ‘60, periodo in cui parve chiaro a tutti che dovessero essere in qualche modo superate le (splendide) narrazioni di Ford&co. In questa riscoperta vanno inserite le pellicole di Sergio Leone, Robert Altman, lo stesso Sam Peckinpah e tanti altri che hanno ribaltato i canoni di un genere solo all’apparenza vecchio, attualizzando un genere cinematografico con nuove modalità di racconto, non solo allungandogli la vita, ma raggiungendo nuove vette della cinematografia (western e non solo). Soprattutto per gli ultimi due registi citati, cresciuti con tutta probabilità a pane e John Wayne, questa ripresa del genere deve essere stato un modo non soltanto per opporsi al cinema di papà, ma anche per raccontare le nuove idee che il paese nutriva sulla propria storia. Se il cinema di Ford&co è mitizzante, quello di Altman e Peckinpah è demitizzante, cerca di indurre lo spettatore a una forte presa di coscienza sui lati imperfetti della storia americana. 

A questa necessità di staccarsi dal passato, si deve far coincidere la scelta delle musiche, in controtendenza con quanto fatto in precedenza e decisamente a passo con i tempi. Non deve stupire dunque che per la colonna sonora sia stato scelto Bob Dylan (scelta che segue quella di Leonard Cohen per I compari di Altman). All'uscita del film di Peckinpah, Dylan era già Dylan. The unwashed phenomenon si era fatto strada tra il pubblico coi primissimi album, nei quali dava voce alle problematiche e ai pensieri dei suoi coetanei, salvo poi allontanarsi dalla scena Folk che lo aveva stretto nella morsa delle canzoni di protesta (songs can't save the world. I've gone through all that, dirà). Bob Dylan era dunque (volente o nolente) il simbolo di quella generazione che manifestava contro la guerra in Vietnam e chiedeva un mondo migliore, prendendo le distanze proprio da quei genitori che adoravano il cinema di Ford e dei suoi contemporanei. Oltre a questo discorso, non si può sorvolare su quanto questa scelta sia stata corretta: l’apporto finale di Dylan alla riuscita del film è sorprendente e indimenticabili sono le immagini che scorrono sulle sue ballate (Knockin’ on heaven’s door su tutte).  

Il periodo d’uscita è sicuramente un fattore imprescindibile per parlare di Pat Garrett e Billy the kid, due volti (quite lame) del vecchio west e amici di tante sparatorie, giunti però all’atto conclusivo della storia l’uno contro l’altro. La loro vicenda è universale, in quanto racchiude un passaggio storico, un cambiamento di tempi che stravolge le abitudini conosciute. Pat vuole invecchiare insieme al paese e perciò si adegua ai tempi; Billy non vuole, fedele a ciò che è sempre stato. 

 

Pat: I tempi sono cambiati, Billy. 

Billy: I tempi forse, ma io no. 

 

Questo dialogo è significativo, poiché nel suo atto di ribellione al potere rappresentato dal nuovo sceriffo Garrett, Billy rifiuta il nuovo corso dei suoi tempi e, allo stesso tempo, firma la sua condanna a morte. Il destino finale del ribelle (anti)eroe è segnato, la sua fine si avvicina ineluttabile. Come durante la visione di un noir, attendiamo dunque il compimento della tragedia, la quale si terrà nell’arido deserto del New Mexico, terra di frontiera di un paese frammentato tra nord e sud, est e ovest, dove il confine tra ciò che è Stato e ciò che non lo è, si perde tra le sabbie indistinguibili del Canyon. 

 

Ma sei sicuro che sia la Svizzera laggiù di fronte? 

Che discorsi... Più che sicuro!

A me sembra tutto uguale, qui.

Eh, che cosa vuoi... Le frontiere non si vedono mica. Sono un'invenzione dell'uomo: la natura se ne fotte!

(La grande illusione)

 

Di fronte all’interminabile aridità del Nuovo Messico, l’unica soluzione per capire dove comincia e dove finisce uno Stato, è soltanto la Legge ufficiale. Questa deve prima però mettere a tacere quella non ufficiale. Lo scontro tra Pat e Billy può essere letto anche sotto questa chiave interpretativa, dove Pat, in veste di sceriffo, si impegna nella diffusione della Legge ufficiale, mentre Billy, nelle vesti del fuorilegge che deve essere in ogni modo fermato, è il rappresentante della Legge non ufficiale, la quale tutti, compreso Pat, hanno accettato per diversi anni. In questo caso, l’approvazione della nuova legge non avviene tramite consenso, bensì attraverso la violenza, con la radicale eliminazione di qualsiasi opposizione. Nuovamente Peckinpah rilegge la storia americana: il confine tra selvaggio e civile, la presa di coscienza di un paese che si è costruito solo per la forza superiore non del suo diritto ma della sua potenza militare. Il diritto del più forte (che diritto non è) dunque, rappresentato nella figura di due uomini, il cui scontro (anche se di scontro vero e proprio non si può parlare…) è sempre più prossimo. L’ultima sequenza, quella che vede il destino dei due compiersi proprio come era facile aspettarsi, è avvolta da un silenzio ieratico e consapevole, con la musica di Dylan appena in sottofondo a suggellare l’importanza del momento. Una sequenza straordinaria, apice dell’intera vicenda. Siamo decisamente lontani da Leone e da Ford, mentre ancora una volta non si può non citare Altman e I compari, film che ci regala un altrettanto splendido scontro finale nella neve che copre tutti i possibili rumori. Peckinpah gioca sui tempi e sull’attesa, non corre per lasciare ancora un po’ di secondi di vita a Billy. Infine, il colpo, uno, che squarcia il silenzio, sufficiente a Pat per uccidere il vecchio amico e tutto quello che rappresenta. Qui si potrebbe concludere la vicenda, ma invece il film va oltre: Pat vede allo specchio la sua figura e spara. Non è un gesto casuale, ma un dettaglio significativo: uccidendo Billy, Pat ha anche ucciso quello che è stato prima di essere sceriffo e s’appresta a invecchiare senza un passato alle spalle nel quale riconoscersi. Lo specchio non è l’unico dettaglio facilmente riscontrabile nel film, tra i tanti che giocano sul binario prima e dopo che la pellicola percorre per tutta la sua durata.

 

Pat: Il solito, lascia i baffi questa volta. 

 

Probabilmente poco significativo, ma il fatto che Pat non si faccia tagliare i baffi, è un altro fattore che lo allontana da Billy, il quale invece conserva un volto senza peli fino alla fine. Inoltre, tanto per aggiungere un po’ di carne al fuoco, in una scena (quella con Knockin’ on heaven’s door, per capirci facilmente) Pat uccide un amico di Billy, quindi anche un suo vecchio partner, in procinto di farsi la barba. 

 

Infine, dopo aver concluso il suo lavoro, Pat sale sul cavallo e si allontana, così com’è venuto. Nessuno, né prima né dopo aver ucciso Billy, lo infastidisce. Tutti hanno preso coscienza che il mondo rappresentato da Billy non esiste più, che Pat è il nuovo corso che devono seguire se vogliono ancora vivere. L’aver compreso così intensamente il passaggio da un’epoca a un’altra, li lascia inermi e senza forze. Solo un ragazzino, probabilmente non ancora consapevole di quanto successo, si ribella lanciando pietre a Pat che si allontana nel deserto: un giorno toccherà a lui uccidere (metaforicamente) l’attuale sceriffo. 

Pat Garrett e Billy the kid è un western coi tratti da noir, una favola amara la cui morale che ci si presenta è tremendamente desolante: il bene trionfa sempre, assunto universale e riconosciuto delle favole, ma non sempre si riesce a distinguere chiaramente il bene dal male. 

 

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