Regia di Christopher McQuarrie vedi scheda film
Videocamera di sorveglianza, display di un parchimetro, camera car, mirino di un fucile sniper. Referenti d’immagine multipli accompagnano un prologo muto, fino ai sei colpi che uccidono cinque persone a Pittsburgh. Il presunto colpevole, durante l’interrogatorio, scrive poche parole: «Chiamate Jack Reacher». Da questo momento la componenente verbale irrompe come un tornado, travolgendo la ricerca estetica nel segno di una narrazione che - grazie soprattutto al romanzo di Lee Child - innova e incalza senza tregua. L’interessante ribaltamento della prospettiva d’indagine (ci si interroga sulla vittima ben prima che sul carnefice) e il muro dialogico con il quale agganciarsi alla tradizione spionistica Anni 70 vampirizzano una regia sempre più misurata, quasi insicura tra prese di posizione realiste (brutalità nei corpo a corpo, cura fine dei dettagli crime) e continue ridondanze didascaliche in forma di flashback con emotivi o investigativi. Così la storia divora la messa in scena, mentre personaggi ben strutturati e interpretati si impossessano della messa in quadro: se la Pike tiene il primo piano come poche, costringendo McQuarrie a frequenti close up, Cruise fa Cruise, demitizzando con la consueta ironia l’ennesimo personaggio action. E poi Herzog & Duvall, comprimari con occhio chiuso a dirci che l’importante, qui, non è tanto vedere quanto saper ascoltare e ragionare.
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