Regia di Rian Johnson vedi scheda film
Io sono il tuo io di domani. Non mi sparare. È l’esortazione che Bruce Willis rivolge a Joseph Gordon-Levitt. È l’estrema invocazione del looper, l’uomo condannato ad uccidere se stesso, al termine di un salto nel passato che chiude il cerchio. Nel 2044 i viaggi nel tempo non sono ancora possibili, ma lo saranno nel 2074. Da lì i capi di una potente organizzazione criminale spediranno indietro i soggetti da eliminare, con le mani legate dietro la schiena e la testa chiusa in un sacco di stoffa. E indosso un carico di lingotti d’argento, il compenso per il killer che, da qualche parte, nel mondo di trent’anni prima, lo sta aspettando per farlo fuori e distruggerne il cadavere. Per far sparire qualcuno non c’è metodo migliore che affrontare il problema alla radice, cancellando le premesse alla sua esistenza. Chi è già morto l’altro ieri, non può essere vivo oggi. Il ragionamento è di una semplicità disarmante, e per questo fa un po’ paura. Soprattutto impressiona il pensiero che il giovane Joe possa ritrovarsi davanti il vecchio Joe, recapitatogli dal futuro come un oggetto da liquidare, perché divenuto scomodo, e perché costituisce la prova di una terribile attività criminosa. Joe non ci sta, e da quel momento la vicenda diventa quasi normale, con i due doppi della stessa persona che sono presenti nel medesimo istante, però seguono strade diverse, scegliendo l’uno la pace, l’altro la guerra. Di mezzo ci sono, come sempre, i ricordi d’amore, il dolore per una perdita, il desiderio di vendetta, che sono i sentimenti di una vita al tramonto, e la voglia di cambiare, la gioia di scoprire cose nuove, la fede in un avvenire migliore, che sono le emozioni positive della verde età. L’assassino vede come diventerà, e utilizza quell’opportunità soprannaturale per scegliere di opporsi al destino e cercare di essere diverso. Questo racconto di fantascienza sottende il mito romanzesco di un’eroica ed egocentrica utopia. Chi si era messo al servizio del male, si redime e si sacrifica per la salvezza dell’umanità. È un’immagine ideale già vista e stravista, e ci si può credere o no. Nel dubbio, Rian Johnson ce la propone in versione flou, impastata nella fumosa atmosfera del noir, satura di malcelato disincanto e di rabbia trattenuta. E intanto, grazie a quella miscela densa di smarrimento, crea l’attrito adatto a giustificare quel ritmo lento, quasi lacrimevole, che contrasta con lo spirito dell’action movie, producendo un’illusione di ripensamento autoriale, quasi di rivisitazione artistica del genere. Tuttavia, alla base dell’esperimento non si scorge nessuna vera intuizione, e il tutto si arena in una parziale ciclicità che si compiace della propria stranezza senza arrivare al dunque, mentre aspetta all’infinito che il suo carattere si definisca. Questo, nell’attesa, rimane indeciso tra il lineare e il complesso, tra l’essenziale e il prolisso, lasciando che anche la drammaticità partecipi a questo gioco a rimpiattino. Si sarebbe tentati di osservare, con una battuta, che, cinematograficamente parlando, anche i viaggi nel tempo hanno fatto il loro tempo. Oppure che per i film alla Memento si è ormai compiuto il memento mori. Ma non è detta l’ultima parola: forse il segreto sta nel trovare un modo inedito di fare chiarezza nell’oscurità del paradosso cronologico. Looper ci prova con la luce di una visionarietà un po’ opaca, ancora troppo legata ai modelli d’annata di Blade Runner e Strange Days. Si sposta soltanto il baricentro del discorso, dalle insegne al neon degli scenari millenaristici globalizzati all’universo angusto e male illuminato della crisi individuale. Forse non basta. Ma forse è già un promettente inizio.
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