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Tutti pazzi per Rose

Regia di Régis Roinsard vedi scheda film

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La recensione su Tutti pazzi per Rose

di OGM
8 stelle

Il fascino vintage inizia con la grafica della sigla d’apertura. E prosegue con una perfetta ricostruzione dell’atmosfera cinematografica della fine degli anni cinquanta, con la spensieratezza celebrata nelle tinte pastello, al contempo tenui e luminosissime, del pellicole in technicolor. Dietro questo film si percepisce una gioiosa capacità di sognare. Quella che, in un’era ormai remota, nasceva dalla fede nel progresso, inteso in senso sociale e tecnologico, ma amorosamente calato nella dimensione domestica e familiare. Per le donne di allora, essere moderne significava lasciare il paese natio, rifiutare le proposte di matrimonio del giovanotto locale benvisto dai genitori, per trasferirsi in città a lavorare come segretarie. L’idea che la conquista dell’autonomia potesse automaticamente implicare la perdita della femminilità era ancora di là da venire. Si poteva essere battagliere e indipendenti, eppure restare ragazze semplici, docili, sottomesse, romanticamente succubi della visione di un avvenire roseo, nei tradizionali ruoli di moglie e di madre. Rose Pamphyle, che è nata in un villaggio della Bassa Normandia,  non è una ragazzaccia ribelle, del tipo che, dall’altra parte dell’oceano, a quei tempi già andava di moda, e furoreggiava anche sul grande schermo. Quella francesina dai capelli dorati e dalla pelle candida sembra la copia fotostatica della classica fidanzatina d’America, che, con la sua indole spontanea ed inquieta e la sua modesta cultura, si trova ugualmente a disagio nel contesto rurale di provenienza  e nell’ambiente della borghesia imprenditoriale col quale viene successivamente a  contatto. La sua vicenda è un’avventura la cui meta è incerta tra ambizione professionale e realizzazione sentimentale, mentre l’unico punto fermo è la determinazione a non tornare mai sui propri passi, costi quel che costi. Fidanzarsi col proprio capo e diventare campionessa di dattilografia sono le due facce di una sfida azzardata, forse assurda e controproducente, che, pur nella sua natura rischiosa ed estenuante, presenta l’indiscutibile vantaggio di condurre sempre più lontano dalla casa del padre, dal suo piccolo spaccio di provincia, dal figlio del garagista che egli avrebbe già scelto come suo futuro genero. Il film dell’esordiente Régis Roinsard – che ha incassato cinque nomination al Premio César, tra cui quella per la migliore opera prima – è solo all’apparenza una favola monotematica, un po’ forzosamente costruita intorno ad un modello di macchina da scrivere (la Populaire che compare nel titolo francese) e alle gare di velocità di cui è protagonista. In realtà è il felice esito – magnificamente confezionato in formato narrativo – di una scrupolosa ricerca intorno allo spirito di un’epoca, che si potrebbe giudicare frivolo nelle manifestazioni più superficiali, nonché palesemente incline al feticismo, ma è tuttavia profondamente radicato nell’anima passionale di un’umanità desiderosa di rinascita. Tutti pazzi per Rose ci ricorda come la Storia sia il prodotto delle piccole rivoluzioni di tutti i giorni, degli entusiasmi anticonvenzionali della gente comune, delle manie del momento che altro non sono che le idolatrie di chi si accontenta di poco. Questo film è un nostalgico e squisito acquerello di costume, e contiene, fra le righe, un sincero e  sorridente atto di ammirazione per un genere di commedia brillante che le crisi contemporanee hanno  ormai accantonato, relegandolo nell’armadio delle cose troppo belle per essere vere.

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