Regia di Patrice Leconte vedi scheda film
In ricordo delle firme lasciate in calce alle bande dessinée pubblicate sulla rivista “Pilote”, Patrice Leconte passa dalla commedia agrodolce al cartoon. E ci sono tracce di Tim Burton, in questa storia di una famiglia (composta da individui che portano il nome di suicidi celebri, vestono abiti scuri e restituiscono solo mestizia dal pallore dei volti) la cui piccola bottega degli orrori è specializzata in oggetti utili a togliersi la vita: corde resistenti, economici sacchetti di plastica, vasto assortimento di veleni, katane per seppuku, pistole con un unico proiettile. Perché non rimane altro da fare nel grigiore della depressione che annebbia Parigi: «Contro la crisi e il caro vita, scegli una dolce dipartita». Fino a che un giorno, al focolare, non nasce un bimbo che - clamorosamente - sa essere felice. Commedia macabra, con disegni 2D in rilievo (come a voler usare la tecnologia per inorgoglire il lavoro manuale: il risultato non è distante da una semplice animazione in Flash), La bottega dei suicidi adatta l’omonimo romanzo di Jean Teulé, educandolo in un finale di segno radicalmente opposto. La Commissione Censura italiana, noncurante della scelta ottimistica di Leconte, si è comunque esibita in un virtuosismo idiota: assurdo divieto ai minori di 18 anni. Poi ritirato: pubblicità gratuita per il film. Che rimane un’innocua, grottesca, ripetitiva versione animata di La famiglia Addams, satura di (inascoltabili) canzoni antidisneyane. L’animazione francese merita, in Italia, altra rappresentanza.
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