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La bottega dei suicidi

Regia di Patrice Leconte vedi scheda film

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Scarlett Blu

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La recensione su La bottega dei suicidi

di Scarlett Blu
6 stelle

Film atipico, grottesco, pervaso da profondo cinismo, che forse sarebbe meglio evitare in caso di forte depressione, perché non incoraggia ad avere una visione ottimistica del futuro e della vita.

Oppure, per un paradosso assurdo potrebbe essere vero anche il contrario, e magari chissà, la visione potrebbe portare alla reazione opposta, e allora scopriremmo che il mondo reale con la sua quotidianità più o meno difficoltosa, più o meno triste è molto più colorato, vivace e positivo di quanto abbiamo sempre creduto.

 

Quando l’animazione anche più tradizionale non è solo (o per niente) per bambini.

 

Lo stile non è tra quelli che preferisco. Volutamente antiestetico, il tratto del disegno è rigido, marcato e dalle linee geometriche nette, poco accattivante nel tratteggiare i personaggi, ma possiede un fascino inquietante, un gusto del macabro che si adatta perfettamente a tutta l’atmosfera cupa e tetra di un cartone animato assolutamente sui generis.

 

In un mondo triste e grigio – non solo in senso metaforico perché il film è quasi essenzialmente dominato dai toni grigi e neri di una metropoli fredda e anafettiva – dove non pare esserci più alcuna speranza, dove la crisi e l’infelicità condiziona pesantemente le vite degli uomini, che hanno perduto ogni gusto per la vita e le cose belle, l’unica soluzione paradossalmente osteggiata dalle leggi umane che vieterebbero di attuarla, pare il suicidio, da fare di nascosto per evitare di venire multati anche da cadaveri.

Per assurdo l’unico luogo denso di colore vitale, caldo e acceso, in palese contrasto con gli stati d’animo generali delle persone che lo frequentano, è la Bottega dei suicidi  - ho pensato a qualche vaga attinenza alla La bottega che vendeva la morte, se non ricordo male, vecchio film horror che mi capitò di vedere anni fa - gestita dai coniugi Tuvache con i due figli, fratello e sorella e terzo figlio in arrivo.

 

scena

La bottega dei suicidi (2012): scena

 

 

Il negozio è attrezzato di tutto, veleni, corde, pistole, pugnali e quant’ altro occorre per togliersi la vita e lasciare questa valle di lacrime.

È tutto è presentato al meglio e nella forma più invitante, pacchetto regalo compreso, c’è anche la garanzia morti o rimborsati.

Ma nessuno degli infelici clienti è mai tornato a lamentarsi di un servizio scadente.

Gli atipici commercianti sono paragonabili ad una bizzarra e funerea famiglia Addams, ma il paragone si limita solo ad alcuni tratti somatici simili, quelli del padre soprattutto, che assomiglia un po’ a Gomez Addams, perché le singole personalità dei componenti della famiglia (con nomi di suicidi, come Merilyn e Vincent, o Lucrezia, la madre che vende veleni, riferimento alla nota Lucrezia Borgia) sono molto più negative. 

Tutto sommato gli Addams erano una famiglia allegra e felice, e dai saldi legami interni. Qui è tutto più disfunzionale.

In realtà, i Tuvache, non privi di sensi di colpa per quello che fanno, come tutti gli altri sentono il peso di un’ esistenza funesta a cui vorrebbero porre fine, ma resistono stoicamente, forse per avidità, forse per reale convinzione; il padre è un uomo cinico che legittima la sua attività, credendo di svolgere un gran servigio alla comunità di disperati della città, la madre accoglie i depressi potenziali suicidi con un sorriso fasullo sempre stampato sulla faccia e i due figli hanno una voglia di vivere pari a zero.

Un quadro desolante e sconfortante.

 

scena

La bottega dei suicidi (2012): scena

 

 

Ma l’ultimogenito, Alain è diverso da tutti gli altri: sembra sempre felice e contento, di fatto lo è ed è inspiegabile il suo costante ottimismo, sembra quasi stupidità, un’ anima candida che vive nel migliore dei mondi possibili, credendoci pure, ma la sua felicità assurda quanto il mondo in cui vive, pare irritare prima i famigliari e poi noi spettatori che, nonostante gli sforzi, non riusciamo a provare simpatia neppure per lui.

Alain è una specie di nota stonata che entra in questo mondo grigio e depresso, e grazie a un piccolo stratagemma lo modifica, portando la voglia di vivere e la speranza nel futuro dove pareva non esserci altro che tragedia e morte.

E le cose incredibilmente iniziano a cambiare; la sorella s’innamora e inizia a vedere il lato rosa della vita e da questo momento i toni di colore del film cambiano, diventando accesi, colorati e festosi – con fiori che sbocciano improvvisi e fanno da cornice bucolica alle ultime battute - e la bottega danneggiata dall’intervento casuale di Alain, modifica radicalmente la sua attività, rinunciando a vendere la morte, e solo a questo punto il film diventa accattivante, solare, gradevole anche sul profilo estetico, oltre che positivo nel suo messaggio definitivo che ridà bellezza e valore alla vita.

 

Qua e là purtroppo, il cartone animato è infarcito di canzoncine deprimenti ed elementari non troppo riuscite che non riescono a dare un po’ di brio e vivacità a tutto; in sostanza non mi sono piaciute troppo, e sono l’ elemento che più mi ha infastidito e che ho trovato superfluo.

Va riconosciuta l’originalità di un prodotto talmente atipico e controcorrente che va ricordato per questo, che lascia non poco straniti; ma sarà colpa della storia, e non solo, mi è mancata la meraviglia della suggestione, la magia tipica dell’ animazione, quella poesia che ti lascia uno stupore infantile negli occhi di adulto. Non merita secondo me, più di una visione.

Voto 6 +

 

 

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