Regia di Patrice Leconte vedi scheda film
Dopo più di trent'anni di carriera e dopo successi come Il marito della parrucchiera o Confidenze troppo intime, Patrice Leconte riesce finalmente a coniugare due sue passioni finora inespresse: l'animazione e il musical. Lo fa raccontando una storia all'apparenza macabra, tratta dal libro di Jean Teulé e parente alla lontana di certe atmosfere degne di Tim Burton: quella di una società talmente annichilita nella quale il suicidio diventa gesto comune. Così c'è chi pensa che anche quello dell'autosoppressione possa essere un business e rastrella denaro grazie a una bottega, quella del titolo, che offre qualsiasi tipo di rimedio, dalla corda col cappio al veleno, per chi aspira a un veloce trapasso. Le cose vanno bene fino a quando nella famiglia Tuvache, che gestisce la bottega (papà si chiama, neanche a dirlo, Mishima…) nasce Alan, che rappresenta un grosso problema: ride troppo ed è sempre allegro. Gli affari saranno compromessi? Nella città comincia a respirarsi un'aria nuova…
Difficile confezionare un messaggio più ingenuo, flebile e retorico, a prescindere da come si vede il mondo e l'esistenza, se con la beota gaiezza di un Candide o come una fatica di Sisifo. Fatto sta che nel primo cartone animato da regista di Leconte tanto è originale e accattivante la forma, tanto sono deboli e inconsistenti trama e contenuti. Se questi ultimi esprimono un livello cognitivo da terza elementare, la forma, più vicina ai Simpson o alle animazioni di D'Alò che alle meraviglie di Dreamworks e Pixar, si lasciano apprezzare per la caratterizzazione dei personaggi, per le ardite "riprese" dall'alto, per la spettacolarità dei tetri scenari urbani, ma anche per le molte invenzioni visive disseminate qua e là: da una seduta psichiatrica in cui i pensieri si trasformano nella macchie di Rorschach agli scenari metropolitani che rifanno il verso a De Chirico. Da non perdere i titoli di coda, che con semplici caratteri latini richiamano le diverse modalità di suicidio, e da notare qualche bella torvata in sede di sceneggiatura, come il nome della bottega che, una volta convertita in una creperie, si chiama Dulcis in fundo…
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