Regia di Tony Krawitz vedi scheda film
Non lo chiedete a Christos Tsiolkas. Lui non lo sa cosa ci tiene uniti in questo feticcio sconsacrato che prende il nome di Europa. E lo si immagina che, in quella sua piccola baia dei demoni che è il quartiere di St Kilda, stia ancora seduto all’ombra di qualche palma a rileggersi i passi del suo più terribile parto letterario (la “Dead Europe”, infatti), in franchezza trovandone insondabili alcune premesse e disgustosi altri raggiungimenti.
Dimesso e dinoccolato, alla fine, lo vedremmo entrare dentro alla grande bocca del luna park di Cavel Street, lì dove adulti e bambini possono fremere delle loro paure e sgranocchiare pop corn dozzinali davanti al grottesco “Circo delle Urla”. Che il figlio di alcuni immigrati greci, nato a Melbourne e che con la sua terra d’origine tratta con cuore e pugnale, abbia sentito il bisogno – un giorno imprecisato; lo chiameremo per geometria insana, ‘giorno y’ – di mettere mano a questa storia di vampirismo educativo, ci porta presto a cogliere il senso del rapporto tra ‘vecchi’ continenti e ‘nuovi’ mondi. Tra figli e padri. Passato, presente e futuro. E non in questo stretto ordine spaziotemporale.
Avendo letto con avidità – e poi avendone visto con aridità, dato il livello dell’adattamento, il panegirico televisivo –, il suo più che famoso “The slap”, immagino vagamente cosa abbia davvero corrotto così tanto nei muscoli dell’assenza e nelle articolazioni ossee dell’oscurità e della maledizione, un tipo di scrittore come Tsiolkas. Perché alla fine propendesse per una discesa agli inferi così assoluta, priva di ogni confine di concettualità. Tanto è il bagno insudiciatore nell’ordine remoto della Terra, nel cardine occipitale della razza umana: tradire, umiliare, disertare, sopprimere, seppelire, nascondere, mentire. Tale è la sofferenza del protagonista che indugia in un lento girovagare per le lande europee, a prendere coscienza che i popoli sono tenuti a “resti di avanzi, uova e mucchi di merda!” e che tutta la glorificata civiltà e la genìa della modernità altro non sono che le mezze parti di un crimine. “Il maledetto passato” come lo nomina senza appello Niko, il fratello del protagonista, dopo aver finalmente disvelato il cuore del buio.
Non per nulla è stata chiamata a mettere ragione ed ordine matematico (perché un film, ‘qualsiasi’ film deve rispondere ad una esatta composizione numerale), una tizia come Louise Fox, penna d’oro delle sceneggiature aussie e pluripremiata autrice di decine di serial televisivi nell’emisfero australe. Facendo un discreto lavoro, sia detto; occultando alcune parti davvero torbide (l’aria malata di Venezia, il sesso nel bagno del treno in Albione, a caccia di facili emozioni e di sangue mestruale) e mostrando con organicità contrattuale ciò che nel libro non era così preminente. Una sorta di scansione melodrammatica in tre parti: la conduzione sciamanica del viaggio ellenico (con crisi, scontri in piazza e teorie dell’impoverimento annessi) fino all’orrido del monte Papigo, la sosta parigina alle prese con una ‘patchanka culturale’ che abbraccia ed allontana allo stesso attimo (il destino della ‘sans papiers’ Amina è riassunto scorso e prologo odierno), ed infine il lindo, notturno universo di pedofilia, sesso omologo e giro d’affari in una Budapest che sorveglia ad est le tristi e fasciste sorti del continente a venire. Molto manca del testo. Ma qui è di un film che stiamo già parlando, non più di un libro e quindi…
Fate a meno di domandarlo a Tony Krawitz. Cos’è per lui o per il senso comune, un racconto per immagini tratto da un’immagine fatta racconto. Lui questo film lo aveva già composto per pezzi combacianti (o quasi) con i suoi precedenti “Into the night” e “Jewboy”. Il primo, un ‘all-in-one-night’ che mischia i destini e le attese di un giovane gigolò e del suo ricco cliente, il secondo invece una storia di radici e di rapporti familiari legati, e nemmeno per poco, agli insegnamenti delle religione ebraica.
Qui il protagonista – Isaac Raftis, figlio di Vassili e di Reveka, nato il 02 marzo del 1983 a Sydney, ed ivi abitante nel quartiere di Alexandria, in una piccola casa all’incrocio tra Belmont Ln ed Harley Street, numero di passaporto MO965345 –, diventa l’esatto catalizzatore di energie narrative già sperimentate e profuse in prodotti meno avvenenti e poco più che abbozzati. Un artista che pianifica un ritorno in Grecia, la terra dei suoi avi, per motivi puramente legati al suo lavoro ma che si ritrova ad essere colui che riporta a casa le ceneri del padre. Un figlio che aprendo il ‘vaso di Pandora’ dei suoi antenati, libera nell’aria l’ingiuria della storia e che sperimenta – sulla sua pelle, alla fine – il ciclo infinito dell’identità e della fragile frattura tra realtà ed apparenza. Tra consistenza e fatuità, che è da sempre il racconto dei racconti che mischia vita e morte in ogni opera degna di questo nome e per mano di ogni artista che tale possa chiamarsi per onestà.
“Dead Europe”, ovviamente, è anche un’opera cinematografica sul viaggio e sullo sguardo; lo sguardo fotografico di Isaac, che è un cacciatore di volti e di corpi grazie alla sua reflex, e lo sguardo filmico di Krawitz che – in una scena rivelatrice – si smaterializza sulla superficie di uno specchio in un hotel, autorizzandoci a narrare di spettri viventi che attraversano una patria desolata.
Un film per niente perfetto, che della sua svogliata assunzione di falsità fa pregio; e tanto appare ritaglio di una teoria narrativa immensamente più grande e complessa, tanto più ne riceve premura di visione. Come a dire che dovremmo, noi che distratti avevamo amato le pagine di Tsiolkas e poi le avevamo deposte su quotidiani simulacri di polvere, riprendere subito in mano le armi per sentire dietro di noi l’offuscamento, per avvertire le voci di uno spettro che ci chiama e che ci chiede perché l’abbiamo abbandonato e lasciato morire di fame. A ingoiare muschio dai mattoni, a nutrirsi di terra nera e non di pane e di latte odoroso. Ecco. E’ bene vederlo/rivederlo questo film non riuscito ma terribile e letale. Prima che ci si perda, tutti quanti, dentro le caverne della preistoria di ciò che è regime e che si ha l’abilità incauta di chiamare con una parola vampirica. La puttana Europa!...
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