Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
Un regista scandinavo racconta la vera storia del processo di Giovanna: un'attrice indimenticabile, una potenza espressiva che solo il cinema muto poteva raggiungere.
C'è del magnifico in Danimarca. Avevo 20 anni o poco più quando scoprii l'esistenza di Theodor Dreyer. Una domenica sera, sfogliando i canali tv, mi imbattei in un documentario Rai che mostrava lunghe sequenze del suo cinema. Ricordo ancora l'emozione indicibile che provai davanti alla sua Giovanna, e alla sequenza finale di Ordet, non ho mai più provato nulla di simile. E sì che, come molti italiani, ero cresciuto anche con i classici che la Rai usava proporre in orari normalissimi (ve li ricordate ancora i cicli sui grandi registi o attori? Potevi vedere De Sica, Ford o Eisenstein alle nove di sera, con tanto di introduzione critica. Ma forse è uno scherzo della memoria, la tv è fatta per intrattenere, per educare ci sono la scuola, la famiglia...). No, questo regista veniva da un altro pianeta. Io non sono un esperto, non ho gli strumenti critici per analizzare seriamente un film, tantomeno questo film, posso solo cercare di spiegare a quattro lettori perchè dovrebbero avvicinarsi a quest'opera, e farla conoscere ad altri. Anzitutto, è una storia vera, incredibile ma vera. Una ragazzina ha sconfitto il re d'Inghilterra, ma il suo essere donna è un problema per le gerarchie ecclesiastiche, e non solo per loro. Fatta prigioniera, processata, viene portata al rogo. Basteranno pochi anni perchè la Chiesa si renda conto della mostruosità commessa. Il film condensa in pochi giorni un processo durato mesi, una licenza poetica che non intacca la verità sostanziale degli eventi. Quando ci ripenso, sono almeno tre o quattro le cose che non posso dimenticare. Le didascalie, quelle poche parole essenziali, davvero scolpite nella pietra, che ci arrivano dai verbali del processo; le domande insidiose di quei serpenti in tonaca sono ridicolizzate dalla misteriosa sapienza di una contadina analfabeta. "Pensate che Dio odi gli Inglesi?" "Dell'amore o dell'odio di Dio per gli Inglesi io non so nulla. Ma so che..." Quei volti brutti, volutamente sgraziati, mostri medievali (con l'eccezione di Antonine Artaud, il famoso autore teatrale, qui nelle vesti di un religioso consapevole del crimine che sta per compiersi) che spiccano sulle pareti bianche di fondo, calamitando gli sguardi. E soprattutto quel volto, quella meravigliosa attrice che Dreyer ha consegnato all'eternità con questa sola interpretazione. Lo sguardo di Renée Falconetti, ora febbrile, ora rassegnato, ora spaventato, che negli ultimi istanti di vita segue il volo degli uccelli che la stanno accompagnando in cielo, e noi con lei. Raccontano che sul set piangevano davanti alla intensità di certe scene, e non mi meraviglia. Forse è un po' "talebano" sostenere che il muto è la quintessenza del cinema, ma dopo avere visto questo film davvero rischiate di vedere con occhi diversi tutto il resto. Cercatelo, guardatelo senza pregiudizi critici, come farebbe un bambino, lasciatevi travolgere da questo capolavoro assoluto.
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