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The Lone Ranger

Regia di Gore Verbinski vedi scheda film

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La recensione su The Lone Ranger

di scapigliato
8 stelle

Da sempre il genere western rappresenta la nascita di una nazione. Non di una qualunque, ma di quella che ha fatto di dio, patria e ricchezza uno slogan imperialista che ha attecchito in ogni luogo del mondo. Non c’è nulla di grave di per sé in queste parole prese singolarmente. Tutti hanno il diritto di avere un proprio credo, di difendere e amare il proprio paese e di cercare felicità anche attraverso il benessere. Ma è nel momento in cui vengono pronunciate insieme, magari con foga e trasporto, che cominciano a fare paura.

In The Lone Ranger (2013) di Gore Verbinski questi cattivi da fumetto, interpretati da William Fichtner e Tom Wilkinson, il primo con più carattere del secondo, rappresentano senza se e senza ma l’anima nera di un paese all’atto della sua nascita. Pur con tutt’altra profondità e narrativa, anche il western di Verbinski si può allineare con opere importanti come Gangs of New York (2002), There Will Be Blood – Il Petroliere (2007) e il coetaneo Django Scatenato (2013). Senza essere western duri e puri come lo sono Appaloosa (2008), Terra di Confine – Open Range (2003) e l’ormai lontano Gli Spietati (1992) da cui è iniziato il tempo incerto del genere, anche i film di Scorsese, Anderson, Tarantino e Verbinski puntano il dito sulla nascita di una nazione. Senza mandarle a dire. In Scorsese erano il sangue e la violenza barbara di una civiltà; in Anderson era il fanatismo sia religioso che capitalista, in Tarantino erano il razzismo e lo schiavismo e in Verbinski di nuovo capitalismo e razzismo.

In The Lone Ranger, seppur parliamo di un film per ragazzini e famiglie oltre che per i nostalgici del genere e i devoti di Depp, ci sono numerosi passaggi in cui il Capitale, la Patria e la Religione, rappresentate tutte istituzionalmente vengono letteralmente fatte a pezzi in chiaro tono polemico – il Capitale sono i fratelli Cole (Wilkinson/Fichtner), la Patria è uno pseudo-Custer interpretato dal nervosismo di Barry Pepper, e la Religione sono i presbiteriani con le loro marce moraliste e tutti quelli che al nome di dio scatenano guerre e distruzione.

Palesemente buonista e dalla parte degli indiani, che restano sempre e comunque “altro”, The Lone Ranger non solo è un divertentissimo giocattolone, ma restituisce la giusta misura delle cose. Gli Usa sono nati sulla cannibalica fame di potere e ricchezza, nascondendo dietro l’abbaglio del progresso ogni barbara ingiustizia civile, politica, razzista e sessista. Il film gioca bene le sue carte e mentre sono indiani e puttane a salvare i buoni, abbiamo borghesi, religiosi, soldati e faccendieri che vengono carnevalizzati senza pietà nello stesso momento in cui le maschere di Tonto e del Lone Ranger vengono invece umanizzate. I borghesucci e i gentlemen tutti per bene vengono caricaturati e accostati a indigeni solo vestiti elegantemente – mi hanno ricordato i borghesi presi di mira da Leone via Rod Steiger nella mitica/politica scena iniziale di Giù la Testa… Coglione! (1971). Sia loro che i religiosi vengono bistrattati e sbattuti qua e di là nelle scene d’azione e ci si prende gioco dei loro imperativi morali ad ogni passo del film.

Religione e patria trovano invece la propria caricatura nel momento in cui il Capitano interpretato da Berry Pepper, che non a caso ha le fattezze di Custer, davanti alla verità delle cose, ovvero di aver massacrato decine di tribù indiane credendole le responsabili della rottura dei trattati di pace, invoca dio che lo aiuti a combattere e vincere contro gli indiani, pur sapendo di essere drammaticamente dalla parte del torto. Non si spiegherebbero diversamente certe battute a cui si dà un peso registico rilevante, con pose e montaggio non certo informativi o di solo raccordo.

Ugualmente non possiamo certo attribuire a The Lone Ranger un peso politico che di fatto non ha, ma attraverso questo gioco caricaturale, attraverso l’ambientazione puramente western e attraverso le chiare prese di posizione contro i poteri forti di Capitale, Patria e Dio conferma un’anima autoriale che di solito il cinema blockbuster non ha, oltre che confermare un uso sapiente e intelligente del genere stesso.

Qui forse il western resta ancora un circo, un triste diorama sotto un tendone sgualcito – Bronco Billy (1980)? – in un parco giochi grigio e decadente. Ma non si può dire non ci sia un vero amore per la rappresentazione western dei temi americani come universali dell’uomo. Resta sicuramente un divertissement rocambolesco e picaresco, inverosimile nell’azione e dagli effetti speciali non invasivi anche se esagerati.

Un film recitato forse senza grandi profondità attoriali – Hammer è troppo bello per essere credibile, Depp troppo spento ma a tratti entusiasmante, Wilkinson annoiato ma ormai a suo agio nei panni del villain, Fichtner si salva ed è la vera sorpresa del film – ma con un cast di tutto rispetto che annovera anche una battona punk interpretata da Helena Bonham Carter, banditi invertiti dalle tendenze travestiste, e tante facce sporche che è un piacere vedere in un western americano. Ma l’omaggio agli Spaghetti non è solo nei personaggi e nella bizzarria della storia, ma anche nel tema musicale che ricorda quello di Pronti a Morire (1995) che già ricordava Morricone. In definitiva, due ore e un quarto di puro divertimento e non solo.

Un piccolo dettaglio: gli azionisti della linea ferroviaria, la Transcontinental, che per potere e ricchezza compiono vigliaccate in nome del progresso, mentre davanti a tutti ostentano buone maniere, moralismo e altre amenità, vengono menzionati come gli uomini più ricchi del paese. Un analogo consorzio era quello dei firmatari della Carta della Costituzione americana: tutti ricchi, bianchi e maschi. È un parallelo azzardato?

Un ultimo dettaglio: i conigli carnivori, figli di una natura squilibrata che ha prodotto mostri cannibali come i fratelli Cole, dei quali Fichtner è cannibale tanto quanto i teneri coniglietti – fuori innocenti e innocui, dentro terribili e voraci divoratori. Che questa terra ingenerosa sia la terra americana?

Come fare politica attraverso il linguaggio fumettistico e divertente di ragazzini e famiglie. Ottimo Verbinski.

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