Regia di Gore Verbinski vedi scheda film
Chissà qual è la traduzione “tontese” per “film sballato”. Quello che è, fragorosamente, The Lone Ranger.
L'ennesimo carrozzone del divertimento targato Disney e trascinato da Bruckeimer, inaspettatamente, manca il bersaglio e deraglia inequivocabilmente finendo col trovarsi in un deserto di idee che configurano un veicolo lento, pesante, macchinoso.
Solo gli ultimi venti minuti apportano un po’ di (banale) freschezza, cioè dal momento in cui si spinge l’acceleratore al massimo sul versante cartoonesco spettacoloso: treni che sfrecciano e s’incrociano pericolosamente, esplosioni, spari, botte, gente che vola e gente che sembra non cadere mai; e così via in un tripudio sonoro e visivo di (standardizzata e controllata) folle velocità e concitazione.
Ma la sarabanda finale certo non basta ad aggiustare il percorso. Percorso che vede il film incanalarsi dentro contorte traiettorie, casuali e caotiche, che, anziché assicurare del buon sano - seppur conformato - divertimento, riescono solo a generare una discreta dose di noia e finanche irritazione.
In sostanza, The Lone Ranger scivola presto - rimanendovi - lungo i binari (morti o quantomeno morituri) di una mesta riproposizione di clichè, meccanismi e abbellimenti vari - atti, nella “normalità” dei modelli di riferimento, a produrre intrattenimento - ma soprattutto di una evidente e strana confusione tanto nella concezione quanto nella realizzazione.
Un pasticcio nient'affatto gradevole, a cominciare dal più che mediocre svolgimento della trama e dalla sbilenca, stanchissima presentazione dei personaggi (il protagonista in primis), per non dire di un ritmo assai altalenante, mai omogeneo, e di una fotografia che talvolta sembra del tutto fuori fase.
Gore Verbinski, probabilmente resosi conto che il tragitto era tutt’altro che in discesa, prova a mischiare le carte, utilizzando raccordi narrativi in flashback e l’espediente (grossolanamente stridente) del Tonto in versione ultrainvecchiata che racconta la storia al pischello al museo. Un po’ come avventurarsi da soli e senza bussola in territori sconosciuti e forse ostili, il regista si - e ci - disorienta perdendosi per vie superflue e lungaggini di sorta.
Così i temi legati agli indiani, alle lotte di potere, alla frontiera, al caro vecchio west, e le bieche mire dei soliti bianchi avidi e incattiviti - sono elementi che finiscono gettati alla rinfusa nel pompato carico merci di un convoglio-film che annaspa e del quale alla fine non interessa granché.
Persino sul versante della comicità il terreno è decisamente ristagnante, giacché l’unico registro possibile pare essere quello delle smorfie, degli animali che fanno cose “strane” e “divertenti” (compresi ruttare e defecare), delle abusatissime dinamiche di coppia; il tutto senza mai cercare (per svogliatezza? disinteresse? incapacità?) di sembrare un minimo originali o voler almeno distinguersi.
Come tacere poi di quella che è la portata principale … no, non (il pur simpatico e volenteroso) Armie Hammer: già dal titolo stesso dovrebbe essere l’assoluto protagonista ed al contrario raggiunge il (prevedibilissimo) status di spalla (con licenza di non rubare la scena) di Johnny Depp nei panni (ultra macchiettistici) dello strambo pellerossa Tonto.
Al solo apparire della sua figura variopinta - viso truccato, copricapo eccentrico con volatile morto - nonché delle sue innumerevoli bizzarrie assortite, si vede che è indiscutibilmente lui il gran capo.
Ma, dato che non fa altro che prodursi nelle immancabili smorfie (di riporto) ed è palese la volontà di piacere a tutti i costi (cosa che inevitabilmente induce l’effetto contrario), aveva proprio bisogno di un’altra parte così?
Forse, lauto cachet alla mano, lui sì; il pubblico certamente no.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta