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Gli equilibristi

Regia di Ivano De Matteo vedi scheda film

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La recensione su Gli equilibristi

di OGM
8 stelle

Gli equilibristi – impegnati in un funambolico esercizio - sono i padri separati. Come Giulio Colelli, impiegato comunale, sposato con Elena e padre di Camilla e Luca, un’adolescente ribelle ed un bambino pieno di complessi. Giulio se ne va perché ha commesso un errore imperdonabile. Ha avuto una relazione con Stefania, una sua collega di lavoro, ed Elena non è riuscita a dimenticarlo. Non può cancellare dalla memoria soprattutto quei messaggini, che un giorno ha trovato per caso sul cellulare del marito. La storia è finita, ma Elena non smette di pensarci, e spesso piange di nascosto. La coppia non sta più insieme, ma, con la partenza di Giulio, a sciogliersi è anzitutto la famiglia, mentre la vita di lui, privata dei fondamentali punti di appoggio, si distruggerà entro breve tempo. Impossibile tirare avanti, non possedendo nient’altro che un magro stipendio ed una macchina. La moglie, che ha solo un motorino, vorrebbe togliergli anche quella. E intanto continua a chiedergli denaro, mentre sua figlia, dal canto suo, lo rimprovera di non essere abbastanza presente. Purtroppo l’uomo, in quella situazione, ha altre preoccupazioni, giacché spende tutto il tempo a cercare di restare a galla. Uno sforzo tanto disperato quanto vano,  che non può impedirgli di sprofondare nell’emarginazione. In una città come Roma, dove gli affitti costano un occhio della testa, si fa presto a finire sulla strada. La sudicia cameretta di una pensione in un quartiere degradato gli offre il primo assaggio di un universo sotterraneo in cui la miseria materiale è tutt’uno con la perdita della dignità, perché là in fondo non c’è  niente che ti qualifichi come persona. Il retroterra affettivo dell’esistenza se ne va insieme alle certezze costruite nel corso degli anni, e l’individuo diventa un’ombra, che si muove furtivamente tra i sedili dell’automobile, il lavandino di un bagno pubblico e la mensa dei senzatetto, facendo finta di non esserci, per potersi presentare ogni mattina in ufficio come se nulla fosse cambiato. Nessuno può immaginare come un uomo possa svanire da un momento all’altro, smarrendo la sua collocazione all’interno della società, per il semplice fatto di aver rotto con la propria donna. Quella che, superficialmente, può sembrare una repentina riconquista della propria libertà, in realtà è l’inizio di una solitudine totale, che nasce dallo sradicamento e si sviluppa in mezzo all’incomprensione generale. Per Giulio non c’è spazio all’interno del mondo, dato che la sua figura,  definita per negazione (in termini di ciò che non è più) e quindi assottigliatasi fino all’inconsistenza, non è il prodotto di una storia pregressa, bensì il relitto della sua brusca interruzione.  In questo senso, la sua condizione è paragonabile alla morte, perché la sua sostanza è il nulla che segue la fine di tutto. Non ci sono le basi per ricominciare daccapo. Il film di Ivano De Matteo ce lo dimostra, con tutti i dettagli del caso. Ci racconta una vicenda il cui filo conduttore è l’invisibilità di una persona, che sembra fatta di carne ed ossa, eppure per gli altri non esiste, almeno non nella nuova veste in cui è costretta ad andare in giro. Il suo problema, smisuratamente grande, l’ha di fatto trasformata in un fantasma, di cui nessuno capisce l’angoscia, l’ansia di poter ritornare tra i vivi, per essere nuovamente qualcuno. Il suo dramma è una maschera vuota, che progressivamente si sgretola, eppure tarda a rivelare, agli sguardi diseducati della gente comune, l’inquietante assenza del volto:  un volto al quale, fino all’ultimo, ha cercato disperatamente di assomigliare.

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