Regia di Ettore Scola vedi scheda film
Ci sarebbe da fare un discorso preliminare sul valore del testo di Igino Ugo Tarchetti, per comprendere appieno il film, su quel momento cioè in cui la scienza e la psicologia (che sfocerà come sappiamo nell'invenzione della psicanalisi), fanno irruzione nell'immaginario letterario italiano. Certamente con gli occhi di oggi la vicenda di Fosca (così il titolo originale del romanzo breve) assume toni incredibili, gotici se non grotteschi. Scola, d'altra parte che nel grottesco spesso sguazza a suo piacimento, prende il testo così com'è e ne tira fuori un film denso, pieno di pathos, ma anche di quello struggimento autunnale che ne pervade le pagine e che non è solo un crepuscolo intimo, ma il crepuscolo delle speranze e dei sogni della generazione post-risorgimentale. E' un film che forse disturba - quanto disturba l'opera da cui è tratto - per l'esagerata e puntuale disamina dell'amore come malattia dello spirito e poi del corpo, per voluttà con cui si descrive il destino della giovane donna tradita, abbandonata, e poi vittima-carnefice del malinconico e introverso Giorgio, ma è nello stesso tempo un opera "filologicamente corretta" che risente ancora dell'influsso dei grandi drammi in costume tipo Senso, Piccolo Mondo Antico etc. (e per capirlo andarsi a rivedere lo scempio idiota a livello sia di ricostruzione che di sceneggiatura che qualcuno ha fatto al cinema del romanzo di Vittorio Imbriani "Dio ne scampi dagli orsenigo", quasi coevo di Tarchetti). Un film virato nei toni della cupa melancolia e del rosso denso della stagione morente, che si avvale di un buon cast (eccezionale neanche a dirlo l'interprete di Fosca), con degli inossidabili e disincantati Massimo Girotti e Jean Louis Tritignant. Per gli amanti del tardo romanticismo e delle storie a pessimo fine.
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