Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Trent’anni fa a Livorno tre giovanissimi amici si gettarono in un’impresa impossibile. Scrissero e realizzarono in poco tempo una pièce teatrale che poi andò in scena al Teatro 4 Mori. Il più giovane del terzetto, Simone Lenzi, aveva 14 anni. Gli altri due, un po’ più grandicelli, erano Paolo Virzì e Francesco Bruni. Poi Lenzi si è laureato in filosofia e ha scritto un bel libro, La generazione (Dalai), storia di un portiere di notte appassionato di testi antichi che non riuscendo ad avere figli con la compagna interroga gli scrittori del passato. Dal dialogo con Aristotele si passa a quello con la cantante siculo polacca Thony, fenomeno del Web, bravissima e dalla irresistibile sensualità. Da lei parte Paolo Virzì accettando l’invito di Bruni (sceneggiatore) a lavorare a una versione cinematografica del libro di Lenzi. Il terzetto di compagni di quartiere si rinsalda, e il risultato è Tutti i santi giorni. Il ruolo della fidanzata del portiere di notte (ben interpretato da Luca Marinelli) diventa fondamentale, anche per la presenza magnetica della cantante e per la voracità scenica del suo personaggio, e la loro storia d’amore prende diverse direzioni. Fanno l’amore tutti i santi giorni, appunto, pur incontrandosi solo all’alba, quando lui rientra e lei esce. Una bella idea di precarietà del rapporto di fronte alla solidità di un sentimento che però, con l’acuirsi della crisi (il bimbo non arriva) vacilla. Lei incontra un vecchio amante, cantante cialtrone ma selvaggio; lui, candide ingenuo e innamorato, resiste e aspetta. Intorno, figurine di contorno un po’ stereotipate, come i vicini di casa coatti o i rispettivi genitori, troppo “scritti” nel loro essere agli antipodi. Nonostante alcuni momenti davvero felici (esilarante il dialogo sull’onanismo surreale tra il portiere e l’ospite cinese) il film è come imbrigliato nella propria programmaticità, quando la commedia (e Virzì lo sa) ha bisogno di volare libera. Il protagonista maschile, poi, assomiglia troppo ad altri personaggi del regista livornese, timidi e teneri ma alle prese con cicloni umani travolgenti, maschi e soprattutto femmine (dal Gabbriellini di Ovosodo a Tanino, sono tutti più o meno uguali) e forse ci voleva un pizzico di originalità in più.
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