Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
A ben pensarci, Antonia e Guido sono la tipica coppia di personaggi alla Virzì, tanto umani quanto costruiti a tavolino per riflettere sul solito problematico Bel Paese, tanto più assortiti se lei è della Sicilia (e pensa che la famiglia coincida con il diventare come il Padrino) e lui è invece un intellettuale semplice e occhialuto/capelluto, che vive in comunione con l'altro e con le lettere classiche, e che cerca di allontanarsi dagli scontri accettando le batoste, finché però non si tratta di Antonia. Sono una coppia di freaks, un rifacimento (in meglio) della coppia di American Life di Mendes in versione ben più coinvolgente, tanto vicini perché osservati ingenuamente anche negli aspetti più carnali, senza comunque la necessità del sesso esplicito. La componente sessuale, onnipresente perché sono entrambi desiderosi di diventare genitori, è uno degli elementi chiave della nuova commedia di Virzì, perché la maternità (o paternità, a seconda) è la spinta dei due protagonisti verso una normalizzazione che altrimenti non riescono a trovare. Incodificabili da tutti coloro che li circondano (famiglie dell'uno e dell'altra, vicini, clienti, capi di lavoro), Antonia e Guido sono semplicemente la semplicità nella complessa Italia del fallimento della meritocrazia, la coppia "buona" che cerca equilibrio, cerca di dare un senso a una vita insoddisfatta, in cui si corre di qua e di là per permettersi l'affitto. Tante le disfatte, tanti i malumori, che alla fine l'aversi a vicenda finisce per apparire come insufficiente, proprio perché è così difficile il concepimento di una nuova creatura. Che il destino li privi di questo dono per non mettere nuove persone in questa Italia funesta, specie se i vicini di casa sono sciatti volgarotti superficiali e 'desolati'? No, qui non c'entra il destino, perché Antonia e Guido, seppur diametralmente opposti, sono riusciti a trovarsi, costituiscono la sola possibile utopia relazionale, sebbene sul bordo di un burrone, in un Paese sempre più costretto da clericalismo (Antonia non comprende che parlare a un dottore cattolico della fecondazione artificiale non sia opportuno), regionalismi (Antonia si scorda del dialetto siciliano perché associato ai litigi familiari), cattiverie e soffocamenti delle potenzialità (Guido è laureato in lettere classiche ma lavora in un hotel). Il risultato è Tutti i santi giorni, una frizzante commedia che non ha le pretese (e le debolezze) di Tutta la vita davanti, ma zoppica di fronte alle caratterizzazioni dei personaggi (al limite fra il bozzettismo e il vittimistico ostentato) e di fronte al punto di vista del regista, che cerca giustizia e, se sembra proporre una morale tutta moderna in un'Italia conservatrice che sembra immobile, poi consola tutti con il matrimonio, accettazione (forzata) nella società, compromesso. Forse è un bene, ma il tutto perde di coraggio, e classifica il film tra i Virzì minori, benché riusciamo anche a noi a disperarci come Guido quando non riusciamo più a trovare Antonia e pensiamo di vederla nell'autobus accanto, nelle ultime sequenze in cui i due si allontanano, secondo una prevedibile scelta narrativa. Ma c'è tanta verve, vivacità e gioia di vivere, in Virzì, che anche di fronte alle debolezze riusciamo a godere dei suoi personaggi, seppur nell'ingenuità delle sue (solite) accuse, che si sono private della satira di Baci e abbracci, per esempio, e seppur in un immobilismo stilistico che potrebbe non giovargli in futuro, anche se difficilmente tanta sincerità può diventare maniera.
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