Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Questo nuovo lavoro di Paolo Virzì, oltre che un autentico gioiello, è anche una sorpresa. D'accordo che il cineasta livornese è uomo destinato a non ripetersi (nella sua ormai ampia cinematografia non v'è un titolo simile all'altro) ma certo era difficile attendersi un'opera così minimale e romantica, così semplicemente sentimentale. Un'opera che si presenta in veste quasi dimessa, a basso costo, senza interpreti dai nomi roboanti, apparentemente quasi un Virzì sottotono. E invece siamo di fronte ad uno dei suoi lavori più riusciti. Virzì parte prima di tutto da un ottimo romanzo scritto dal bravissimo autore e musicista Simone Lenzi, cantante dei Virginiana Miller. Poi, unitamente al Francesco Bruni di "Scialla", scrive un copione brillantissimo, dal quale si evincono l'amore e l'attenzione dei due sceneggiatori nel dare vita a storia e personaggi. Insomma c'erano tutti i presupposti perchè il prodotto finale fosse quello che è: un'autentica delizia. Virzì crea un clima così amabilmente "famigliare" che è impossibile non entrare subito in empatia coi due protagonisti e in particolare con la splendida Antonia (Thony, di fronte alla cui naturalezza si resta increduli, se si considera che fino a pochi mesi fa lei stessa non avrebbe mai immaginato di recitare in un film). Di fronte a questa brillante commistione di sentimenti e malinconia con qualche digressione nel dramma, qualcuno ha evocato lo stile di Sam Mendes (e ovviamente il suo "Away we go"), ma io non credo sia opportuno l'accostamento, perchè la "mano" del nostro è caratterizzata da un tocco leggero che lo rende ineguagliabile e che ne fa -a mio avviso- il miglior regista italiano. Ed è proprio questa sua amabile levità associata a qualche elemento di malinconia, ciò che manca agli altri nostri cineasti eccellenti, da Bellocchio a Garrone, da Sorrentino a Soldini. Un regista, in definitiva, che evitando qualunque deriva intellettuale, affida ai suoi lavori una delle funzioni primarie del cinema: quella di far ridere e far piangere, semplicemente. In altri termini, un cinema realmente popolare, e non per topi da cineforum, eppur cinema di gran classe. Ed è in quest'ottica che possiamo affermare che egli è il più accreditato erede della tradizione della nostra Commedia. Il suo cinema è attualissimo e racconta questi nostri tristi tempi senza essere pedante o didascalico, ma attraverso la narrazione di vite complicate di persone semplici, persone che sopravvivono anche quando i sentimenti si scontrano, generando corti circuiti del cuore, per poi ricomporsi nella speranza di una società migliore, che prima o poi arriverà, da qualche parte (forse). E io credo che la sintesi più felice di quanto appena esposto la possiamo trovare nel suo film che io prediligo, "La prima cosa bella", inimitabile epopea dei sentimenti degli uomini. Altra caratteristica del regista livornese che mi ha sempre intrigato è il suo "gusto", ed anzi possiamo parlare di "buon gusto" a maggior ragione se consideriamo come il cineasta ha declinato un paio di sequenze a "rischio volgarità" presenti nel film. Mi riferisco alla scena del bizzarro cinese infoiato ma soprattutto a quella della masturbazione del protagonista, una scena tra le più irresistibilmente comiche che io abbia mai visto al cinema. Ma i momenti gustosi sono tanti altri, ma proprio tanti. Per esempio una festicciola di compleanno che poi si evolve in una visione di gruppo di una partita in tv della Roma, che dà spunto a Virzì per evidenziare grottescamente i caratteri di alcuni balordi, tra palestrati ignoranti e mamme burine. Poi c'è una serie di consulti della coppia protagonista presso lo studio di un particolarissimo ginecologo napoletano. Ma mi fermo qui, perchè gli episodi degni di nota sarebbero davvero troppi. Senza naturalmente entrare nel dettaglio, vorrei sottolineare la scelta di concludere il film aprendosi su più finali. Càpita a volte di leggere nelle recensioni la frase tipica "peccato per i troppi finali". Ebbene, in questo film, tale deriva assume valenza positiva. Lo spettatore è portato ad apprezzare quel sovrapporsi di soluzioni finali, ciascuna assai indovinata, ed ognuna improntata ad uno stile differente. Infatti prima c'è la conclusione teoricamente "ufficiale", a cui ne fa seguito un'altra di carattere probabilmente onirico, ed infine un inatteso flashback che ci riporta a quando tutto ebbe inizio, come a voler chiudere un cerchio, o chiudere una parentesi rimasta aperta. Non si può parlare di film corale, eppure i personaggi di contorno sono numerosi, ma quel che più conta è che questi (a partire dai genitori sìculi di lei per finire coi vicini di casa burini) non sono mai macchiette da commedia all'italiana ma bensì personaggi rifiniti che esprimono una loro personalità compiuta. Fondamentale è infatti la scrittura, e qui dobbiamo dare atto a Virzì, Bruni e Lenzi di aver dato vita a ruoli delineati con cura, con attenzione e una buona dose d'affetto. La vicenda è quella, semplicissima, di una coppia di trentenni che conducono una vita non facile nè poggiata su solide basi, ma comunque illuminata dal loro amore, tenero e forte.Quel che a loro manca di più, è evidentemente un figlio che, per problemi di infertilità, non riescono ad avere. Questa è la base di partenza, su cui si sviluppano varie vicissitudini, legate soprattutto alla ricerca spasmodica dei due per risolvere il loro problema. Attorno alla coppia girano diversi altri personaggi, dagli apprensivi genitori di lei ai vari medici e specialisti a cui la coppia chiede consulti, e inoltre un freakettone balordissimo che riemerge dal passato di Antonia a complicare ulteriormente le cose. E veniamo all'ottimo cast: non ci sono nomi famosi nè (ringraziando Dio) comici televisivi, ma solo attori di talento, che Virzì, da par suo, ha saputo dirigere magnificamente. Luca Marinelli è Guido; pur non famosissimo, è attore già noto per le sue scelte finora coerentemente attinenti ad un cinema di qualità. Ma la vera sorpresona è Thony (Antonia) questa ragazza dal meraviglioso accento siciliano che nella realtà è una bravissima cantautrice, le cui delicatissime melodie riempiono ogni spazio del film. Mi restano da dire solo una paio di cose. La prima è che questo film lo avrei visto molto bene in programmazione al "Sundance Festival": con quel registro minimale e romantico avrebbe collezionato premi e riconoscimenti al celebre festival americano. E infine un'osservazione tutta personale. Adoro la sigla della casa di produzione di Virzì, che si vede prima dei titoli di testa... Quanto mi piace quel "Motorino Amaranto", accompagnato da quelle note così stupendamente felliniane...dura pochi secondi ma mi emoziona ogni volta.
Voto: 10
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