Regia di John Moore vedi scheda film
E fu così che anche il grandissimo John McClane fece un buco nell’acqua.
Ovviamente la colpa non è di Bruce Willis, ma tutta da ascrivere agli sceneggiatori ed al regista John Moore che già sulla carta non faceva sperare in nulla di buono (“Max Payne”, 2008, fu un disastro) ed a conti fatti non riesce minimamente a rinverdire i fasti dei registi precedentemente coinvolti nel progetto.
Quando suo figlio Jack (Jai Courtney) finisce in prigione a Mosca, John McClane (Bruce Willis) decide di recarsi sul posto per capire cosa gli è successo.
Gli basta poco per ritrovarsi di fronte il figlio in fuga, alle prese con una missione segreta per salvare Komorov (Sebastian Koch) e recuperare un prezioso documento che lui solo sa dove è nascosto.
Alle loro calcagna c’è la malavita russa ed altri interessi pericolosi, che devono fronteggiare da soli.
Arrivati al capitolo numero cinque, con i primi tre film che sono ormai dei classici del genere e col quarto che si era difeso onorevolmente, “Die hard” affonda e John Moore non confeziona altro che un banale action movie che si rianima solo durante le fasi d’azione, ovvero quando la parola ed il senso compiuto contano poco, che sono parecchie ed anche molto spettacolari, ma anche un po’ troppo caotiche (vedi il disastro per le strade di Mosca) con un senso d’insieme meno spigliato che nelle altre occasioni.
Purtroppo il soggetto appare fin da subito scadente e non bastano un paio di colpi di scena (inattesi anche per il fatto che intorno la piattezza sembrava inattaccabile) per cambiare gli equilibri, il comparto tecnico è ricco di negatività, con un montaggio troppo sovraccaricato (meglio un po’ di “pulizia” in questi casi), mentre la fotografia è scialba, non certo degna di un film comunque atteso.
Ma il vero tallone d’achille sono le tante incongruenze che compaiono sparpagliate (a partire dal fatto che all’inizio John e Jack mettono a ferro e fuoco Mosca e poi girano per le strade bellamente indisturbati con un uomo popolare, manco fossero turisti), mentre il tribolato rapporto padre-figlio è tutto sommato accettabile quando si rimane nell’ambito delle battute di rito, ma gli basta un attimo di sentimento per divenire stucchevole ed il finale, decisamente sbrigativo, di certo non aiuta.
Un film dunque molto deludente, e lo sarebbe stato, certo un po’ di meno, anche se non si fosse chiamato “Die hard” (ma così lo è ancora di più), che perde la vitalità dei capitoli precedenti, con poche idee, il che da infatti luogo ad un film breve (e le scene tagliate presenti nel dvd sono una più brutta dell’altra) nel quale Bruce Willis non può che fare buon viso a cattivo gioco e forse anche per John McClane è arrivata l’ora di andare in pensione.
Sconfortante (anche perché i ricordi pesano come un macigno).
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