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Die Hard - Un buon giorno per morire

Regia di John Moore vedi scheda film

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La recensione su Die Hard - Un buon giorno per morire

di alan smithee
6 stelle

Vidi “Trappola di cristallo” a vent'anni, durante un bigio e freddo pomeriggio autunnale qualunque del 1988 a Genova, nell’immenso cinema Verdi (chiuso ormai da anni) dopo aver partecipato ad una poco memorabile lezione universitaria pomeridiana. Quel film, uscito quasi in sordina e infatti trascuratissimo in Italia nonostante l’appeal commerciale (forse in quanto Bruce Willis in Europa a quell’epoca non se lo filava nessuno nonostante Moonlighting interpretato in coppia con la bellissima Cybill Sheperd andasse già in onda da tempo su molti canali televisivi) fu decisamente, almeno per me, più degno di nota del corso scolastico che frequentai quello stesso giorno e ne rimasi completamente affascinato, tanto che esso divenne uno dei miei film culto per diversi anni. Amai sia il film, diretto con perizia e abilità da un John Mc Tiernan reduce dal già intrigante Predator, che da quel momento e per alcuni anni conservai addirittura tra i miei cineasti preferiti insieme a quel nordico d'un Renny Harlin, autore esperto pure lui in buoni action e responsabile di un suo non ignobile seguito (che ingenua impulsività giovanile si rivelò quella doppia preferenza!), sia dal personaggio magnifico di John McClane, reso alla perfezione da un Bruce Willis ironico, pasticcione, eroe a malavoglia e suo malgrado, sofferente di acciacchi che un superman qualunque neanche mostrerebbe quando invece lui li ostenta con fierezza ed ingenuità tutt’altor che da supereroe. Nei diversi capitoli che ne sono seguiti (4 in tutto compreso il presente se non ho perso il conto) - tra i quali nessuno tuttavia figura proprio come ignobile - si avverte quanto meno una sensazione di inevitabile effetto "fotocopia", in cui la produzione di una “ristampa di una ristampa” crea inevitabilmente dei cloni offuscati e di conseguenza di minor valore rispetto all’apprezzabile ottimo originale.
A ventisei anni di distanza anche i super poliziotti invecchiano (e Bruce/John tuttavia appare ancora piuttosto in forma, se si pensa ai mal di schiena logorante di cui soffriva ai tempi dell’originale), e McClane, sempre “più divorziato” (la simpatica ed ironica brontolona della ex moglie interpretata da Bonnie Bedelia non appare più da diversi episodi ,ed è un vero peccato), ha ormai due figli grandi: la figlia lo assilla più o meno con lo stile invadente ed indagatore della sua ex consorte, mentre col maschio non ha più rapporti da anni: almeno sin quando un pasticciaccio grosso in quel di Mosca non fa arrestare il giovane, rinchiuso poi assieme ad un detenuto di spicco, che molti vogliono eliminare in quanto in possesso di un file che fa gola ad un potente politico corrotto e spietato come pochi.
Il resto della trama è risibile ed è completamente inutile da raccontare: meglio perdersi tra l'ironia sempre gradevole di uno smargiasso Mc Clane irriducibilmente calamitato verso le grane e i problemi più grossi di lui (manco la "Signora in giallo" è così acutamente portatrice di iella!) tra gli inseguimenti mozzafiato, rutilanti e concitati di tre veicoli (tra cui un enorme camion blindato) tra i viadotti di una inedita Mosca tecnologica: sequenze altamente spettacolari e riuscitissime che ci catapultano in un luna park di inseguimenti adrenalinici e senza sosta che sfiorano la mezz'ora.
Se solo si riescono a dimenticare a casa buone intenzioni di impegno o cultura, se ci si scorda anche un po’ di sale in zucca che diversamente ci avrebbe spinto verso pellicole un po' più consone alla nostra attuale  consolidata idea di cinema,  forse si corre davvero il rischio di divertirsi pure in parte in questo ennesimo capitolo della serie. Certo l’atmosfera entusiasmante di quella splendida “trappola di cristallo” costituita dall'imponente e ipertecnologico (per quei tempi) Nagkatomi Building losangeliano, così come quel vilain da antologia interpretato dallo splendido Alan Rickman, sono ormai solo più un lontano ricordo del passato; allo stesso modo dei capelli già radi a quel tempo in capo al “giovane” brontolone, svogliato ma risolutore Bruce Willis, che fa del vittimismo e dell'ironia il suo cavallo vincente in quello che è ormai diventato il suo più celebre e longevo personaggio.

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