Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film
Gli anni '80 di Godard sono cominciati - o forse, meglio, ricominciati - nel segno di un'autoreferenzialità esasperata; oltre a comparsate e ruoli vari sostenuti nelle sue opere, il regista francese si è espressamente dedicato a esplicitare il suo rapporto con il cinema: pura passione, appunto. Anche qui, come in Si salvi chi può (La vita), del 1980, fra i protagonisti c'è un regista (là si chiamava addirittura Godard...) e come spesso accade nel cinema godardiano il set cinematografico diventa ambiente ideale per la narrazione, confondendosi con la realtà circostante (all'interno del film) e con la realtà del set che lo sta mettendo in scena. Sebbene la lucidità non sia una delle sue più spiccate doti, qui Godard - anche sceneggiatore e montatore - riesce a dare una forma narrativa più o meno solida al suo lavoro, mettendo a confronto e facendo scontrare fra loro una serie di personaggi accomunati da un acuto sentimento di insoddisfazione: e anche questa è passione, nel senso di ambizione smisurata rispetto alle proprie possibilità o, molto più pragmaticamente, a quello che il contesto può offrire (l'operaia stanca di lavorare a cottimo, il regista deluso dalla luce e dagli interpreti, l'industriale litigioso e perennemente vittima di tosse nervosa). Un tris d'eccezione costituisce il piatto forte del menu: sono i protagonisti Michel Piccoli, Hanna Schygulla e Isabelle Huppert; nonostante l'alto budget produttivo, Passion andò piuttosto male. 6/10.
Un'operaia balbuziente, sentendosi sfruttata, osteggia il padrone della fabbrica; l'uomo litiga anche con la moglie, che per giunta lo tradisce con un regista. Il regista, infine, tenta di realizzare un film ispirato a una serie di quadri celebri, ma ne è del tutto insoddisfatto.
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