Regia di Guido Brignone vedi scheda film
1890: su un piroscafo diretto in Argentina si imbarca un gruppo di emigranti comprendente un vecchio malato con sua figlia, un medico profugo politico, un tipo intento a traffici loschi, un omone buono e generoso. La prima parte è un omaggio al lavoro degli italiani all’estero: pur se estremamente goffa, turgidamente melodrammatica, appesantita da una recitazione svenevole, è quella meno ignobile (almeno nelle intenzioni). Poi, nel 1915, tutti sono presi dall’invasamento interventista: anche l’esponente della nuova generazione, americano per nascita, che all’inizio si sente immune, ne viene contagiato in seguito alle pressioni morali che deve subire e parte volontario; ovviamente morirà sul Carso, lasciando una bambina orfana che nell’ultima scena, ambientata nel 1922, verrà decorata con una medaglia sulla camicia nera. Io non ho nulla contro il cinema di propaganda del regime fascista (Luciano Serra pilota o Bengasi, per fare due titoli, sono abbastanza accettabili anche oggi); ma questo, pur adeguatamente contestualizzato, resta un film becero: indignarsi per i poveracci sfruttati come schiavi dal padrone della ferrovia e poi esaltare quegli stessi poveracci diventati carne da macello al servizio di qualche generale è solo un’espressione di cattiva coscienza, da esorcizzare leggendo Due imperi...mancati di Palazzeschi (“La guerra d’Italia come fu fatta altro non è che una spacconata dannunziana senza senso, senza abilità, senza profitto”). Non so da dove nasca la leggenda metropolitana riportata da Mereghetti secondo cui Isa Miranda “interpreta due ruoli, quello della madre Maria e quello della figlia Manuela”: in realtà sono due attrici distinte (l’altra si chiama Olga Pescatori, e comunque Manuela non è figlia ma nuora di Maria), che a volte compaiono anche insieme nella medesima scena.
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