Regia di David Lean vedi scheda film
Ho letto il romanzo di Edward Morgan Forster e posso testimoniare che il film è molto fedele alla lettera e allo spirito dell'opera: David Lean, al suo ultimo film, è riuscito con grande abilità a trasporre il senso del libro nelle dimensioni di un kolossal che potremmo definire "intimista". Centrale il tema dell'inconciliabilità della cultura inglese e di quella indiana, oltre che la denuncia dell'inutilità del colonialismo, mentre vengono del tutto soppresse certe sotterranee tensioni omosessuali nel rapporto tra Fielding e il dottor Aziz (che, comunque, non erano esplicite neppure nel libro, ma che venivano maggiormente avvertite dal lettore come riflesso autobiografico delle esperienze dell'autore, che aveva avuto una lunga relazione con un uomo indiano chiamato Syad Roos Masood, che aveva ispirato il suo interesse per quel lontano Paese). Convincente la rievocazione ambientale e la caratterizzazione dei personaggi (anche se Alec Guinness come bramino risulta forse un pò forzato), buona la progressione drammatica del racconto. Forse si avvertono qua e là tracce di quell'accademismo che è stato spesso rimproverato al regista, ma è un film di solido impianto che ha avuto anche il merito di risvegliare al cinema l'interesse per l'opera dello scrittore inglese (dai cui romanzi James Ivory trarrà ben tre film di successo negli anni immediatamente successivi). Nel cast, ottime interpretazioni dell'australiana Judy Davis (che farà strada e avrà spesso occasione di mostrare il suo talento), dell'indiano Victor Banerjee e di Peggy Ashcroft che vinse un Oscar come attrice non protagonista.
voto 8/10
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