Regia di Lina Wertmüller vedi scheda film
Pasqualino Settebellezze è uno dei film più strazianti e atrocemente belli mai fatti sul nazismo e i campi di concentramento, tematica forte che, inserita in un impianto di commedia come in questo caso, solitamente porta a risultati estremi: o flop o sublime (e non si parla solo di Benigni, la cui Vita è bella è comunque opera discreta, certo non sensazionale; ma anche di titoli come Vogliamo vivere! o Per favore, non toccate le vecchiette). La Wertmuller (che scrive e dirige tutto da sola), dopo ottimi successi come Mimì metallurgico, Film d'amore e d'anarchia o Travolti da un insolito destino, conferma Giancarlo Giannini come perno dell'opera: difficilmente scelta potrebbe essere stata più azzeccata; perchè i limiti principali della regista (una direzione molto libera degli attori e l'abuso dei primi piani) con Giannini finiscono per diventare le forze del film: l'attore recita un ruolo multiforme, complesso, a trecentosessanta gradi, e può mostrare le sue accattivanti capacità istrioniche senza freno alcuno, riuscendo tuttavia a limitarsi, a non risultare eccessivo, come un grande interprete deve saper fare. E infatti arrivò per lui la nomination all'Oscar, assieme a quelle per la regista, per la sceneggiatura e per il miglior film straniero: un bel poker di tutto rispetto, eppure la pellicola non si aggiudicò nessuna statuetta. Nel caso di Giannini comunque il premio mancato non è una grossa disdetta: si ritrovò infatti a concorrere contro il De Niro di Taxi driver e lo Stallone del primissimo Rocky. Tutti e tre, curiosamente, persero: vinse Peter Finch (morto pochi mesi prima) per Quinto potere di Lumet. Al di là del protagonista in stato di grazia, comunque, vale la pena sottolineare altre due figure: quelle affidate a Fernando Rey (strepitoso nei panni dell'anarchico, rappresentazione di un'anima ormai sepolta in Pasqualino: e infatti suicida) e a Shirley Stoler (l'obesa gerarca del campo di concentramento, proiezione della violenza trascinante insita nell'uomo). Certo, il nazismo come quasi sempre in letteratura e al cinema viene utilizzato soltanto, seguendo le tracce della Arendt, per mostrare la banalità del Male; eppure la contestualizzazione della storia e i toni crudelmente ironici ne fanno un racconto alla portata del grande pubblico e severamente ficcante nell'immaginario non solo italiano. Pasqualino potrebbe essere stato interpretato da Sordi? Con altre sfumature, ma tendenzialmente sì: perchè è un personaggio spavaldo e meschino, incorreggibile se non in peggio (e forse dal lager in avanti Sordi sarebbe stato in difficoltà). Altra constatazione positiva va fatta per quanto riguarda il cast tecnico: dalla fotografia di Tonino Delli Colli alle scene di Enrico Job (marito della regista), tutto concorre a creare un'atmosfera lugubre, di principio della fine, come se un'incombente minaccia stesse arrivando: quella minaccia è in realtà già concretamente presente, vuole dirci la Wertmuller, ma dentro all'uomo e non al suo esterno. Last but not least, è per questo film che Enzo Jannacci realizza la sua più bella - commovente, partecipe, elegiaca perfino - colonna sonora di sempre (e pensare a Vincenzina e la fabbrica, a quanto aveva fatto per Romanzo popolare di Monicelli dell'anno precedente: anche lui in assoluto stato di grazia). 10/10.
Era fascista. Pasquale, napoletano con 8 sorelle, commette per sbaglio un omicidio d'onore; se la cava con un po' di manicomio e l'arruolamento coatto per la seconda guerra mondiale. Prigioniero in un campo di concentramento tedesco, sopravvive soltanto collaborando con i nazisti.
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