Gli spettatori sono subito immersi nell’atmosfera di chiacchiere, pettegolezzi, risate “en plein air ” degli invitati che si aggirano – a piccoli gruppi distanziati – all’esterno della dacia di una ricca vedova, che ha riunito attorno a sé amici, vicini di casa e persino creditori per un weekend spensierato di musica e di giochi.
I primi tepori della primavera potrebbero essere propizi al sereno ricomporsi di vecchi screzi, nonché ai buoni propositi per il futuro, mentre, all’interno della lussuosa abitazione, fervono, attorno al vecchio e sonnacchioso nonno – un po’ sordo e un po’ intontito – discussioni animate tra figli, fratelli e sorelle…
Nell’insieme ci si presenta un piccolo spaccato della buona borghesia russa fin de siècle, che, priva di pesanti obblighi, potrebbe godere le piccole gioie del presente, dai piacevoli conversari, alle innocenti civetterie modaiole, alle feste per gli anniversari. Nè mancano gli intellettuali colti e politicamente à la page, che esprimono istanze femministe, darwiniste e materialiste in una società che è fatta di servi (tanti) e padroni, che un po’ per volta rivelano l’ipocrisia della propria esistenza. Tutto nella società del tempo era reso possibile grazie al lavoro dei servi, dalla preparazione del cibo, alla pulizia degli ambienti, alla cura e all’assistenza dei malati, all’organizzazione delle feste danzanti: il pianoforte senza un suonatore rom deve essere rimpiazzato da una pianola meccanica, incapace di vedere l’incompiutezza della partitura…
La pianola meccanica diventa perciò l’evidente metafora di una situazione sociale difficile: i protagonisti, neghittosi e incapaci di rinunciare ai privilegi della loro casta, trovano in Platonov, il maestro del paese, l’uomo che lucidamente e tormentosamente riconosce nelle proprie contraddizioni l’ignavia che impedisce a ciascuno di guarire vecchie ferite, mentre il regista osserva il muto dolore di ciascuno senza giudicare, ma costantemente seguendone gli sguardi, campo/controcampo.
In tal modo, Mikhailkov rappresenta un’intera classe sociale che ha perso – e non se ne vergogna – l’innocenza; ha tradito ideali e amori profondi che furono veri al tempo della giovinezza per sopravvivere in uno squallido presente di bugie, di finzioni, di ingiustizie.
Un gran bel film, molto cechoviano, ottimamente diretto e interpretato.
Difficile trovarne il DVD, che però ho potuto vedere, grazie al trasferimento su questo supporto di una vecchia cassetta WHS, doppiata, in mio possesso.
Il regista Nikita Mikhalkov ottenne nel 1978 il Premio Speciale ai “David di Donatello”.
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