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Endgame. Bronx lotta finale

Regia di Joe D'Amato vedi scheda film

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La recensione su Endgame. Bronx lotta finale

di giurista81
6 stelle

Post-atomico poverissimo nella messa in scena, con scenografie di fortuna (diversi capannoni abbandonati) ma con tante buone idee in sceneggiatura. Joe D'Amato, al secolo Aristide Massaccesi (qua si firma Steven Benson), traduce in immagini una sceneggiatura di Luigi Montefiori che parte da Robert Sheckley, anticipando L'Implacabile (1987) e I Guerrieri dell'Anno 2072 (1984) di Lucio Fulci, per poi prendere una via più personale che miscela in un unico calderone idee riprese da più film (tra i quali Blade Runner Il Pianeta delle Scimmie). Si sente moltissimo l'influenza di Stephen King, di cui tuttavia Montefiori anticipa di qualche mese l'uscita italiana del suo L'Uomo in Fuga. L'inizio di Endgame - Bronx Lotta Finale mutua pari pari quello del romanzo dello scrittore del Maine. Dall'opera kinghiana arriva anche l'idea del bimbo dotato di poteri telecinetici, sulla falsa riga di Firestarter - L'incendiaria (1980), che da solo sbaraglia un intero esercito (la traduzione cinematografica del film arriverà solo nel 1984, un anno dopo dall'uscita di questo prodotto artigianale). Non mancano poi rimandi a pellicole cugine italiane, quali Fuga dal Bronx (1983) di Castellari, che poi riprenderà parte delle scenografie del film di D'Amato per I Nuovi Barbari (1984), da cui arriva l'idea di un corpo di polizia militarizzato che trucida i civili con l'intento di bonificare la città, e 2019 Dopo la Caduta di New York (1983) di Martino, da cui viene ripresa l'idea dei mutanti con sembianze scimmiesche (qua ci sono addirittura individui squamati che ricordano creature ittiche).

Alto tasso di azione, costante fin dall'avvio, con una storia che parte da reality show televisivo (dove non mancano gli spot pubblicitari), inscenando una caccia mortale tra predatori (tra i quali Montefiori e Bobby Rhodes) e preda (Al Cliver), per trasformarsi poi in una sorta di point to point, come il contemporaneo Mad Max Fury Road, con una missione da compiere in cambio di lingotti d'oro. Il protagonista, un discreto Al Cliver (all'anagrafe Pier Luigi Conti) aiutato non poco dal doppiaggio dal grande Michele Kalamera (storica voce di Clint Eastwood), metterà in piedi una sorta di gruppo di antesignani mercenari, dove figurano celebri caratteristi quali Pazzafini, Al Yamanouchi, Montefiori, il voluminoso Mario Pedone e Gabriele Tinti, nei panni di un professore. Fuoriusciti dalla città, in una campagna dove si sentono tutte le mancanze di budget, si troveranno a vedersela con gruppi di teppisti di ogni specie, ivi compresa una setta di ciechi che vede grazie gli occhi di un giovane ragazzo tenuto prigioniero.

Tra i cattivi si rivede il celebre antagonista dei western di serie z Gordon Mitchell, qua piuttosto convincente. Non mancano personaggi femminili, con la musa di D'Amato Laura Gemser, dotata del potere di comunicare telepaticamente e a capo di un gruppo di nuovi umani figli delle radiazioni dovute all'esplosione di una serie di bombe nucleari. 

La mano di D'Amato si intravede in una messa in scena grandguignolesca, con cadaveri in stato di decomposizione, morti trovati legati e sospesi in aria e soprattutto qualche seno scoperto. Poco inventivo sul piano registico, si limita all'essenziale e lo fa piuttosto bene.

Costumi tamarri, ma limitati dal budget. Non si capisce il motivo per cui la polizia militarizzata, con divise che richiamano alla memoria la Gestapo con tanto di scritta SS sugli elmetti di stampo teutonico, se ne vada in giro con maschere antigas applicate al volto, quando tutti gli altri, colonnello compreso (Mitchell), girano tranquillamente a volto scoperto.

Colonna sonora mediocre di Carlo Maria Cordio. Fotografia tirata via.

In definitiva possiamo definire questo lavoro quale una piccola sorpresa che ha il grosso merito di anticipare svariate pellicole di maggior blasone economico e di tradurre in versione cinematografica almeno due storie firmate Stephen King. Non male.

 

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