Regia di Gabriela Pichler vedi scheda film
Giovane montenegrina arrivata in Svezia da piccola con il padre, Rasha viene improvvisamente licenziata dalla fabbrica in cui lavora. Il padre ha problemi di salute e nessuno sembra voler aiutare i due, tanto che Rasha deve fingere di avere una patente per poter ottenere un altro impiego. Ma viene presto scoperta.
La sfida - sulla sua stessa pelle - dell'immigrato, l'integrazione nell'epoca dei grandi flussi migratori: l'arrivo di decine, centinaia di migliaia di esseri umani in cerca di un futuro non ha trovato preparati i Paesi del sud Europa (Italia e Grecia soprattutto), ma neppure una nazione civile e culturalmente avanzata, dal welfare esemplare come la Svezia può uscire a testa alta dalla situazione contemporanea. Lo vuole dimostrare questo film, l'esordio di Gabriela Pichler nel lungometraggio, che con una sceneggiatura della stessa regista racconta l'ordinaria lotta per la sopravvivenza da parte di una ragazzina e di suo padre, spostatisi dal Montenegro in terra scandinava da una quindicina d'anni (almeno) e ancora tenuti in disparte dalla società svedese, guardati con una perenne diffidenza. Se la storia è piena di motivi di riflessione e la messa in scena risulta sufficientemente cruda, verista per gli argomenti trattati, c'è però da rilevare un andamento narrativo fin troppo rilassato, che prevede dopo oltre mezzora il primo avvenimento degno di nota per la trama (il licenziamento di Rasha) e che affronta i pochi snodi narrativi senza alcun pathos, perdendo così in mordente e attrattiva verso il pubblico. Apprezzabili i due protagonisti centrali, entrambi al debutto sul set: Nermina Lukac e Milan Dragisic. Meglio non discutere invece dei titoli in apertura e chiusura, sgraziati caratteri ultramaiuscoli in bianco, sparpagliati a caso sullo schermo nero con musica techno in sottofondo. 4,5/10.
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