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A Million Colours

Regia di Peter Bishai vedi scheda film

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La recensione su A Million Colours

di OGM
8 stelle

Muntu Ben Louis Ndebele era il più famoso attore nero sudafricano, prima che diventasse un ladro, un terrorista, un fumatore di crack. Nel 1976 era un ragazzo ricco,  che guidava una fiammante Ford Capri ed era innamorato di Sabela, una giovane donna di umili origini su cui aveva messo gli occhi l’anziano capo di un villaggio zulu. A recitare aveva iniziato da piccolo, nel film e’Lollipop, un grande successo nazionale, che aveva regalato la celebrità a lui e Norman Knox, il bambino dai capelli biondi e dalla pelle candida con cui faceva coppia. Due amici per esigenze di copione che,  continuando a frequentarsi fuori dal set, erano cresciuti insieme, fino a sentirsi uniti come fratelli. Poi venne l’apartheid a rovinare tutto. Bastò una pacifica manifestazione studentesca, nel quartiere popolare di Soweto, per scatenare una sanguinosa guerra, in cui Muntu e Norman si ritrovarono, loro malgrado, a combattere su fronti opposti. Muntu, che non avrebbe voluto mettersi a rubare per riappropriarsi  di ciò che il regime colonialista gli aveva tolto. Norman, che non poteva immaginare di puntare il fucile contro un uomo innocente,  considerato nemico solo in virtù della pigmentazione della sua pelle. Tutti e due, loro malgrado, sono costretti ad imboccare il vicolo cieco della violenza priva di senso, che opprime ed annienta i deboli, mentre ingrassa ed ubriaca i potenti cultori del divide et impera. La storia raccontata da Peter Bishai è un ingenuo e variopinto percorso attraverso l’assurdo, quello crudele che si nutre del male che accuratamente semina e puntualmente raccoglie. È un turbolento affondare nella perdita della ragione, che è un delirio autodistruttivo per Muntu, un utopico idealismo per Norman. Due uomini vengono divisi e travolti da un mondo di cui non fanno parte, e rispetto al quale sono fuori fase,  follemente ancorati a valori che, sul campo di battaglia, nessuno capisce e tutti calpestano: l’amore, l’uguaglianza, la fraternità. Nella loro adesione a questo abusato trinomio non c’è, però,  alcuna traccia di retorica, per il semplice fatto che nel loro agire non si scorge nemmeno un’ombra di eroismo. Sono individui sofferenti, però perfettamente allineati al ruolo che, in quella determinata situazione politica, spetta alle loro rispettive etnie. Ribellarsi e reprimere. E, all’occorrenza, uccidere. In mezzo ad un tumulto di carni urlanti, le vicende personali dei due protagonisti si trascinano come melodrammi senza musica d’accompagnamento, graffiati dalla disarmonia della mancanza di civiltà. Le barbare tradizioni ancestrali delle tribù si incontrano con l’avido cinismo delle società moderne, e si combattono praticamente ad armi pari, con la stessa ferocia e la stessa indifferenza per l’umanità. L’idea di comprare una moglie barattandola con una mandria di vacche prosegue nelle rapine e negli attentati dinamitardi, parallelamente a come l’ebbrezza del progresso e l’oblio della cultura cancellano gli insegnamenti della storia e fanno tornare la voglia di imbracciare una clava. Tutto ridiviene primitivo, rendendo la terra molle di pianto e di sangue, fino a far ondeggiare il suolo sotto i piedi. La visione di questo film ci procura la vertigine di guardare indietro, verso un tempo in cui tutto ciò che oggi ci sembra fastidiosamente superato costituiva la  vivida sostanza del presente. Nelle immagini di allora ci sono tante chiazze di rosso infuocato, come nelle pellicole Kodak che si usavano qualche decennio fa.  Ma compaiono anche infinite altre gradazioni, che riempiono spavaldamente, con sapiente disordine, tutti le inquadrature, per rappresentare l’intero spettro iridescente che si estende dal bianco al nero: il dualismo è negato dalla presenza di innumerevoli tonalità intermedie, e la segregazione razziale perde così il suo fondamento, che è un sistema manicheo, rigorosamente basato su una logica a due valori. In questo movimentato arcobaleno, ogni distinzione sfuma, con sgargiante drammaticità, coprendo anche il confine tra il bene e il male con una furiosa serie di pennellate oblique. Muntu e Norman attraversano la stagione del caos lottando con mani e piedi, sbagliando e ritentando, prima di ritrovare la strada dritta e sgombra, e recuperare il senso dell’orientamento. L’inferno si rivela un purgatorio. Nelson Mandela viene scarcerato e si candida alle elezioni. Ciononostante qualcuno continua a coltivare, nel suo triste orticello, il buio che porta la morte. Ma almeno l'aria, tutto intorno, può ritornare limpida. 

 

Muntu Ndebele è uno dei produttori associati di questo film. E Peter Bishai, per la sceneggiatura, si è avvalso della collaborazione di Andre Pieterse, autore del soggetto di e'Lollipop.

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