Regia di Sidney Lumet vedi scheda film
In un tribunale sta per concludersi un processo contro un giovane dei quartieri malfamati, accusato di aver ucciso il padre: le prove a suo carico sono schiaccianti, ma per condannarlo a morte ci vuole l’unanimità. Dei dodici giurati, undici sono convinti della sua colpevolezza e solo uno nutre un ragionevole dubbio. Nel corso del dibattito emergono i diversi caratteri degli uomini, i loro pregiudizi, le loro debolezze, i moventi a volte inconfessabili delle loro azioni (c’è chi vuole fare in fretta per andare a vedere la partita di baseball, c’è chi vuole punire indirettamente il figlio andato via di casa). La discussione si fa accesa, fino a sfiorare lo scontro fisico tra Henry Fonda e Lee J. Cobb (12 angry men, non a caso, è il titolo originale). Quello di Lumet è uno dei migliori esordi cinematografici di sempre: un grandioso dramma da camera, con interpreti in stato di grazia, e al tempo stesso una riflessione sulle possibilità della giustizia, sulla manipolabilità delle prove, sulla credibilità dei testimoni. “In dubio, pro reo”, è la massima del diritto romano in base alla quale un colpevole a piede libero viene considerato un male minore rispetto a un innocente condannato: né i dodici né lo spettatore arrivano a sapere con certezza se il giovane è davvero innocente (si intravede solo per qualche secondo la sua faccia spaurita: sembra un bravo ragazzo, ma forse l’apparenza inganna); ciò che si vuole dimostrare è la necessità di soppesare con la massima cura i pro e i contro, quando si tratta di decidere della vita di un essere umano. E solo alla fine, nell’unica scena che si svolge all’aperto, veniamo a sapere come si chiama l’eroe della giornata: Davis; un nome come tanti per un uomo in fondo normale, quello che potremmo essere tutti noi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta