Regia di Antonio Pietrangeli vedi scheda film
Quando Dora arriva a Parma, ha già un passato turbolento: fuggita di casa insieme al seminarista con cui ha perso la verginità, amante di un albergatore, compagna di un aspirante fotografo pubblicitario; ma anche nella città le cose non vanno meglio: insidiata dal vecchio amico di famiglia che la ospita (Salvo Randone), corteggiata da un poliziotto siculo che pretende una moglie illibata (Lando Buzzanca). Grande Pietrangeli, come sempre. Non siamo ancora al livello di Io la conoscevo bene, ma ci stiamo avvicinando: c’è un montaggio sinuoso che introduce i flashback con spostamenti laterali della macchina da presa, ci sono i cambi di pettinatura che scandiscono i tempi della protagonista, c’è Nino Manfredi che fa l’intrallazzone da quattro soldi, c’è soprattutto Catherine Spaak che cesella a perfezione il consueto personaggio di ninfetta. La differenza è che Adriana, nella sua ingenuità, non si rende conto dello squallore in cui è immersa fino all’ultima scena, quando ne trae le conseguenze; invece Dora parte già disincantata e tende a diventare vieppiù cinica (si concede al poliziotto solo per dimostrargli di essere una poco di buono e sbarazzarsi di lui). La sua sorte è meno cruenta: resasi conto che il matrimonio è una prigione volontaria a cui ci si assoggetta solo per sfuggire alla necessità di guadagnarsi da vivere, si mette il rossetto davanti a una vetrina e (nel finale alternativo poi tagliato) si siede al tavolino di un bar con fare provocante. Si prostituirà? diventerà una mantenuta? Mereghetti resta volutamente sul vago: “sceglie una vita di rischiosa solitudine”. In ogni caso farà a meno degli uomini, almeno sul piano sentimentale.
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