Regia di Craig Zisk vedi scheda film
Nella vita non è mai detta l’ultima parola. E quelle che la precedono sono quasi sempre meravigliosamente prevedibili. Non bastano tutte le commedie del mondo a convincerci di questa fantastica verità. È inutile, non ci crediamo, se non per un fuggevolissimo istante. Sarà per questo che il cinema, il teatro e la letteratura continuano ad insistere nel proporci quella illusione, con la scrupolosa caparbietà di chi conosce bene il suo mestiere, e vi si dedica con tutte le sue forze. Questa volta tocca a Julianne Moore immedesimarsi nel ruolo della messaggera della buona novella, che annuncia l’inevitabile trionfo dell’amore, preparandoci coscienziosamente al lieto fine. Lei, tormentata paladina dell’ottimismo, fa finta di combattere fino in fondo dalla parte del realismo della razionalità, al fine di dimostrarci, con la sua sconfitta, quanto sia sbagliato perdere la fiducia, rintanarsi nel rifiuto, e rinunciare alla possibilità di sognare. La professoressa di inglese Linda Sinclair, che ama alla follia i romanzi di Charles Dickens e non manca di somministrarli ai ragazzi della sua classe, è la tipica donna che vive unicamente della propria professione, sostituendo, al normale e diretto rapporto col mondo, una continua, appassionata immersione nella lettura. Anche per lei, però, ad un tratto suonerà la sveglia. Ciò accadrà inaspettatamente, nel suo quarantacinquesimo anno di età, per opera di un suo ex-allievo, il ventenne Jason, un aspirante scrittore frustrato dall’insuccesso e dai profondi contrasti col padre. Due tristi solitudini si incontreranno per caso ed insieme rinasceranno, scoprendo la carica vitale che si nasconde nel dramma, nell’errore che fa soffrire, che espone l’anima alla rabbia e il corpo al pubblico disprezzo. È questa la dolorosa catarsi attraverso cui l’esistenza si trasforma, ed è sempre un passaggio rivestito di raffinata nobiltà, per quanto possa essere basato sulle più triviali debolezze umane. Istinto e stupidità creano una miscela fatale, un veleno che, per un attimo, sconvolge la sicurezza e l’armonia consolidate dall’abitudine e dalla rassegnazione, per fare entrare in scena la fertilità del caos, del dubbio, della destabilizzazione che costringe a reagire. Questa è la ricetta di una medicina molto amara, che la protagonista incoscientemente ingurgita, finendo con l’animo straziato, lacerato tra una disperata volontà di autodifesa ed un folle impulso autolesionistico. L’austero rigore dell’integerrima insegnante si ritrova ripetutamente spezzato dalle lacrime e macchiato dall’ipocrisia, in una lotta psicologica che la vede nemica di se stessa, alle prese con una corsa al cambiamento che non è in grado di fermare. Linda è una struggente caricatura di questo spirito donchisciottescamente ambiguo; un personaggio surreale nel modo in cui tenta di disciplinare, attraverso una contenuta teatralità, gli improvvisi impeti delle emozioni. Il risultato è insieme romantico e buffonesco, impregnato del tenero languore in cui si sciolgono le corazze protettive dei cuori apparentemente cinici, ma fondamentalmente fragili e bisognosi di calore. The English Teacher è, soprattutto, una grande prova recitativa di Julianne Moore, che ci offre un potente e gradevolissimo mix di poesia e sarcasmo; ed, è, in secondo luogo, una storia che cerca di rendersi adorabile con le sue esplicite concessioni alla convenzionalità, sempre intelligenti, e, a tratti, anche simpaticamente brillanti.
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