Regia di Luigi Zampa vedi scheda film
Il fascismo, più che un’idea, è un fantasma a colori; è un sogno gonfio di velleità che sale verso l’alto, come un palloncino sfuggito dalle mani di un bambino in mezzo a un luna park. Tutta la nazione sta col naso insù, guardando a bocca aperta verso un’invisibile altezza, che tutto sa e tutto può, ed è capace di salvare, condannare o perdonare. L’arrivo del presunto gerarca in un paese rurale è un po’ come l’apparizione del Messia in una parrocchia di campagna: un emissario di Dio venuto a dare un’occhiata in giro, e capace, con la sua presenza, di mettere in subbuglio le coscienze dei tronfi notabili del posto e colmare di aspettative le anime di tanti poveri diavoli. L’endemica cialtroneria nostrana nasce, in fondo, da un mancato senso dello Stato, che viene sempre identificato col governo in carica, ed è quindi considerato un’entità a sé stante, che soprintende alle vite individuali con criteri ed obiettivi tutti suoi. È un potere che c’è, ma non si vede; è una divinità aliena che si aggira da noi in varie forme, travestendosi per spiarci meglio. Roma è il suo empireo, da cui irradia il suo tentacolare dominio su tutto il Paese, suscitando, anche a distanza, grandi timori e smisurate speranze. “Anni ruggenti” utilizza l’ambiente della provincia meridionale non per deridere il Ventennio, ma per azzerarne la portata storica, riducendolo ad una parentesi - solo un po’ più folcloristica del normale - nella solita storia dell’Italietta dei furboni e della brava gente.
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