Regia di Luigi Zampa vedi scheda film
Sebbene sfruttando un’unica idea, ossia un gioco di equivoci che vede un assicuratore romano essere scambiato per un funzionario del Partito fascista in incognito in un paesino pugliese, il gioco regge ampiamente nella descrizione del capitolo più tragico (e grottesco) del XX secolo in Italia.
Coadiuvato da dei comprimari di primissima scelta, abbiamo il podestà Gino Cervi, il gerarca Gastone Moschin, il medico antifascista Salvo Randone e naturalmente l’ingenuo protagonista Nino Manfredi, il regista racconta le pieghe di della retorica tronfia del fascismo. Zampa non si concentra tanto sulla narrazione delle violenze del periodo contro gli oppositori (sebbene non manchino riferimenti ai soprusi subiti dal medico che è stato costretto a girare in mutande per il paese); è evidente invece un’attenzione al malaffare che accompagnava i vari “ducetti” della burocrazia di allora. Le malefatte di ciascuno dei notabili del paese li fanno vacillare: dalle proprietà terriere del podestà, all’oro (non consegnato) alla patria dal gerarca del paese ai traffici del primario dell’ospedale o dei fiori acquistati per il comune che poi vengono puntualmente rivenduti. Insomma tutti sono prodighi ad adulare il probabile funzionario del partito a suon di proclami e citazioni mussoliniane e a voler evidenziare la cieca fede nel paese. Naturalmente entro la fine della vicenda il tutto si sgonfia mettendo a nudo l’equivoco e ridimensionando irrimediabilmente la figura dell’assicuratore che pensava anche di aver trovato l’amore nella graziosa figlia del podestà. Emerge anche il lato più triste della vicenda: la povertà inveterata nella popolazione dei disperati ma ancora fiduciosi contadini che ancora vivono nelle grotte, lasciando sbigottito il protagonista e lo spettatore. Emerge anche la profonda dignità di coloro che non si sono piegati (a loro spese) ai dettami del regime e delle sue richieste assurde. Girato tra alcuni paesi della Puglia ed i sassi di Matera, prima che diventassero un’attrazione turistica, il film anche in modo forse un po’ superficiale permette di riflettere sia sulle malefatte del fascismo che ha sostanzialmente contribuito a far arricchire i suoi sostenitori e la sua gerarchia senza alcun sostegno ai disperati delle classi più povere. Commovente il finale con una lettera di un contadino indirizzata al Duce, con la richiesta di poter vivere in una casa con una finestra, che nella grotta in cui abita non ha mai potuto avere.
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