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In Another Country

Regia di Hong Sang-soo vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su In Another Country

di alan smithee
6 stelle

Due donne in fuga, uno stato di attesa e di provvisorietà che spinge una delle due a scrivere una storia e a rielaborarla con diverse sfaccettature, tutte costruite sullo stesso bizzarro insolito personaggio, rappresentato da una esile donna francese, capitata, per tre differenti motivi in fondo tutti riconducibili ad una fuga, presso una quieta località turistica coreana: una spiaggia bella ma non appariscente, in cui una invitante sabbia fine nasconde “cocci aguzzi di bottiglie”, per dirla come il famoso Poeta e in un certo senso mantenendone il medesimo significato che in Montale valica i confini della materia per incidere ferite più morali che materiali; un albergo semplice a conduzione familiare, un tempo metereologico costantemente bigio in cui il sole non fa mai capolino; un ipotetico faro di cui tutti parlano ma nessuno sa veramente dove si trovi. E la nostra protagonista, una e trina che come uscita da una favola, da un sogno irreale, ripercorre placida le tappe di un semplice giro ispettivo da turista per caso, un "meriggiare pallido e assorto" appunto, un viaggio che le dà modo di effettuare incontri con personaggi maschili bizzarri, generosi e spesso seducenti con cui instaurare una tenera storia d’affetto e complicità. Hong SanSoo si prodiga in una disarmante ma genuina dichiarazione d’amore nei confronti di questa straordinaria attrice francese che è Isabelle Huppert, attiva oggi più che mai e non nuova ad esperienze nei paesi dell’Est (vedi – è un po’ crudele dirlo visto che da noi non ve ne e’ traccia -  il recente Captive di Mendoza). La leggerezza di una sceneggiatura che sembra più abbozzata e lasciata all’improvvisazione che nasce dal feeling che si crea tra gli attori, ci ricorda - per certi versi e complice pure la micro-vicenda della ricerca del faro misterioso -  le atmosfere leggere, soavi e fuori dal mondo del bellissimo stile incantatore di Eric Rohmer, senza peraltro riuscire ad eguagliarne i felici esiti dei lievi ironici capolavori di uno dei principali esponenti della Nouvelle Vague. Un film più carino che bello, che gioca sui leggeri turbamenti dell’animo e sulla fragilità dei sentimenti. Un film bizzarro incluso, forse con un certo azzardo, nella sezione più prestigiosa del “Concorso” a Cannes 2012, che presentava quest’anno più che in precedenza, opere intimiste generose e sentite, ma non certo qualitativamente inarrivabili; mi viene in mente a questo proposito l’ultima fatica di Kiarostami col suo intenso ma spiazzante “Like someone in love”, visto di recente. Solo che oggi ogni nuova produzione del più grande regista iraniano, con la sua carriera e i suoi capisaldi che hanno reso grande ed ineguagliato tutto il cinema neorealista di quell'assolato e devastato paese, può essere accaparrata anche dal più rinomato festival cinematografico mondiale anche a scatola chiusa. Per il più giovane e comunque promettente autore coreano tale scelta pare più plausibile se dettata da un innamoramento personale da parte di qualche selezionatore della manifestazione, folgorato evidentemente dalla leggerezza e dall’atmosfera lieve che contagia almeno gli spettatori più ben disposti e sensibili alle lievi brezze intermittenti e balzane dell’animo umano.

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