Regia di Georg Maas vedi scheda film
Tutto ha inizio nel 1936, quando dalla folle, depravata mente di Himmler nasce il Lebensborn, un organismo volto a preservare e se possibile migliorare le caratteristiche genetiche della razza ariana, in vista della conquista del mondo da parte della Germania nazista. Nel 1940, con l'occupazione tedesca della Norvegia, oltre diecimila bambini in fasce, frutto di unioni (probabilmente violenze in molte circostanze) tra donne norvegesi e soldati tedeschi invasori, vennero sottratti anche a forza alle madri ed allevati in collegi gestiti dal Lebensborn stesso, in virtù del fatto che il miscuglio della razza tedesca con quella norvegese, di origine vichinga e quindi ariana per eccellenza, avrebbe potuto dar vita al disegno folle della razza geneticamente perfetta che potesse formare il nuovo esercito e la nuova popolazione dominante. In questo contesto Katrina viene strappata ancora neonata alla madre naturale ed allevata nei collegi tedeschi. Ma nel 1960 circa ventenne la ragazza fa ritorno, come spia della Stasi (i Servizi segreti della RDT), in Norvegia fingendosi figlia di Ase, una delle tante donne a cui era stato sottratto il neonato. Passano ulteriori vent'anni e nel 1990, dopo la caduta del Muro di Berlino, Katrina, ormai donna adulta, realizzata, benestante, con marito ufficiale della Marina e figlia grande da poco mamma single, viene avvicinata da un giovane avvocato che sta curando la causa che il Governo norvegese sta rivolgendo alla Germania per un risarcimento morale e legale delle conseguenze di quella barbara separazione fatta soffrire alle famiglie dei cosiddetti “figli della vergogna”. L'uomo vorrebbe Katrina come testimone di quella spregiudicata azione, in quanto uno dei pochi casi avvenuti di ricongiungimento tra una madre ed una figlia strappata dal proprio grembo. Ma Katrina a sorpresa e contrariamente ad ogni aspettativa rifiuta misteriosamente di collaborare, non rinunciando tuttavia ad andare a fondo, privatamente, ad una verità che noi del pubblico non conosciamo ancora, ma ella invece ha ben presente nella memoria, incubo livido e crudele come uno dei tanti orrori di un passato che non può essere cancellato.
Rivelare l'arcano di tutto sarebbe fuori luogo. Il film procede teso e quasi freddo, matematico nella sua scientifica spiegazione delle ragioni e dei segreti che sottostanno alla scelta di tenersi fuori da parte di Katrina. Alternando due periodi temporali distanziati di un ventennio, caratterizzati da due differenti tecniche fotografiche che vedono il ventennio precedente illuminato da una luce sgranata, grezza e dal taglio volutamente documentaristico, il film procede nel suo percorso di denuncia con una lucida coerenza, ma anche con una eccessivamente fredda e calcolata dinamica della suspence e dello sviluppo dell'intrigo, che punta molto sulla struttura narrativa spionistiche, quindi anche inverosimile, ma nel contempo le rinnega cercando di apparire più vero del reale. Siamo dalle parti benemerite del film di elevato impegno civico e morale che ci ricorda pellicole nobili come il premio Oscar “Le vite degli altri” o “Hannah Arendt”.
Tuttavia, al di là degli indubbi meriti di ricognizione della memoria su episodi ed orrori, violazioni e sopraffazioni dei diritti fondamentali ed inalienabili di ogni uomo, oltre che delle violenze fisiche e morali a cui sono stati sottoposti tutti coloro che in qualche modo erano considerati un ostacolo alla supremazia della razza germanica sul resto del mondo, il film di Georg Maas, candidato tedesco all'Oscar 2014, mi è parso anche un po' freddo e statico, dettagliato nei suoi sviluppi, ma raggelato dal punto di vista dei sentimenti, di quello che in una famiglia vera dovrebbe essere la passione “umana”, l'ardore di un attaccamento materno o filiale che tiene insieme (anche quello praticamente inespresso di Katrina verso figlia e nipote), tra gioie e dolori, amori e rabbie, ogni famiglia e comunità creata in sua vece.
In questo senso il film ricorda di più lo stile impeccabile, perfetto, calcolatissimo ma anche inevitabilmente gelido, tedesco in tutti i sensi, di Hannah Arendt o de La banda Bader Meinhof, piuttosto che quello del ben più riuscito e passionale “Le vite degli altri”.
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