Regia di Rudolf van den Berg vedi scheda film
La drammatica cronaca di un’eroica sconfitta. Di una finta complicità che si conclude in solitudine. Walter Süskind poteva salvarne alcuni, ma non poteva salvarli tutti: sono circa seicento i bambini ebrei che, tra il 1942 e il 1944, è riuscito a strappare alla morte. Il suo doppiogioco con le SS ha retto fino a che la guerra non è diventata totale, cancellando ogni margine di compromesso. Walter, ebreo tedesco trapiantato in Olanda, era un uomo comune, però ci sapeva fare: era un efficace mediatore e probabilmente anche un ottimo attore, capace di simulare un’amicizia cameratesca con un ufficiale il cui incarico era organizzare le deportazioni di massa verso i campi di concentramento in Germania. Il fatto è che, all’interno dei grandi conflitti, arriva sempre un momento in cui l’abilità non basta più, perché sono la forza dei numeri e del potere ad avere la meglio, facendo piazza pulita di ogni ragione umana. Quella narrata in questo film è una storia di ingegno e di coraggio, non diversa da tante altre che nascono in mezzo alle persecuzioni, dove, in alcune anime particolarmente nobili, l’istinto di sopravvivenza si fonde con la generosità. Cercare il sotterfugio per aiutare il prossimo, rischiando in prima persona: il protagonista di questa vicenda ha pochi mezzi a disposizione, e riesce solo a intaccare qualche lembo di quell’immane progetto di morte, pianificato fin nei minimi dettagli. Dovendo restare all’interno del sistema, come un elemento funzionante ed un membro fedele, la sua ribellione morale è costretta a ricorrere alla copertura dell’accordo, al minor male che è un piccolo bene solo dal punto di vista strettamente utilitaristico. Meglio sacrificare tredici adulti piuttosto che altrettanti bambini: una considerazione in cui il senso etico si fa da parte per cedere il campo a primitivi criteri di convenienza biologica, scritti nei nostri geni e civilmente reinterpretati in chiave sentimentale. La selezione è sempre crudele, perché è fondamentalmente contraria a qualunque principio di equità. Il confine che separa i buoni dai cattivi, i puri dagli impuri, è una linea che parte dal Cielo, dalle leggi divine, e sulla Terra si concretizza in discriminazioni, in guerre di religione, in genocidi. Walter, invece, è colui che sta in mezzo, barcamenandosi tra gli opposti, con un atteggiamento che evita accuratamente di appartenere, in maniera esclusiva, ad uno dei due fronti. La sua missione, a cui si ritrova assegnato dal caso, è mantenersi in bilico al di sopra di una frattura insanabile, anticipandone la ricucitura che un giorno certamente dovrà avvenire. La sua strategia è stare al gioco per poterlo controllare, evitando che lui e la sua gente ne vengano subito dominati. Il suo equilibrismo è ciò che rimane del realismo quando la realtà ha perso la bussola, e si dirige spontaneamente verso la catastrofe. Quell’uomo è una piccola comparsa che danza, mentre il suolo, sotto i suoi piedi, continua ad oscillare, minacciando di sprofondare da un momento all’altro. Il suo basso profilo gli consente di individuare, nel quadro di una tragedia preannunciata ed inevitabile, quelle crepe che, nel caos della follia annientatrice, rappresentano gli sporadici spiragli del possibile. Nel teatro del confronto tra vittime e carnefici, il suo compito è cogliere i punti deboli della finzione, le falle della sceneggiatura e le situazioni in cui gli interpreti escono dal ruolo, per trasformare quei cedimenti in utili spazi di manovra. Il meccanismo funziona fino a che la controparte è formata da singoli individui, pedine isolate che facilmente perdono la visione d’insieme. Ma la speranza finisce quando queste si uniscono, per formare l’impersonale massa degli invasori, che nulla distingue e tutto travolge avanzando in blocco, come un corpo solo, che risponde ad una mente collocata altrove. Nelle grandi (dis)avventure si incontrano grandi personaggi che svettano, come fari nella tempesta, facendo da guida e da solido punto di riferimento. Walter Süskind (1906-1945) è stato, meno retoricamente, un lumicino al crepuscolo, in grado di rischiarare un passo alla volta, lungo la strada, nella fase di attesa in cui il buio non è ancora completo, ed il suo avvento è lungi dall’essere una fatale certezza.
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