Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film
L’etica del comportamento sociale prende corpo non nell’astrazione di un pensiero filosofico ma nella concreta realtà della prassi. Jacek è il prodotto malato di uno smarrimento collettivo, la sua condanna non assolve chi la mette in pratica.
Versione estesa dell’episodio televisivo Decalogo 5(quasi mezzora più dell’originale) con Non uccidere - Breve film sull'uccidere, Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 1988, Krysztof Kieslowski uscì dai confini del suo Paese d’origine dove aveva subito ogni sorta di censura.
Eppure, durante la proiezione per i giornalisti nel nostro libero Occidente, decine di spettatori uscirono a metà pellicola, l’omicidio efferato del tassista da parte di Jacek, il giovane protagonista, la durata prolungata dell’evento e il realismo dei particolari suscitarono nel pubblico una reazione molto indignata.
La morte di Jacek, omicida condannato a morte per impiccagione da un tribunale di Stato nella seconda parte del film, non è però meno efferata e l’abbondanza dei crudi particolari dell’esecuzione non rendono la pena molto diversa dalla colpa.
Kie?lowski aveva messo in conto l’effetto devastante delle due uccisioni, ma è proprio il loro parallelismo a sostenere la forza del comandamento al quinto posto nel suo Decalogo:
Non uccidere.
Ma, bisogna aggiungere, Nessuno tocchi Caino.
Una fotografia gelida, giallo-verdastra che sfuma in un cupo rosso-mattone quando la scena si tinge di sangue, registra un habitat straniante, riprese di una Varsavia di periferia popolata da tristi condomini di architettura sovietica, interni dominati da ombre inquietanti di sapore kafkiano nell’aula di giustizia o in carcere, spazi brulli del lungofiume dove si consuma il delitto.
Quando il protagonista compie lo scempio del tassista il tempo pare scorrere al rallenty e l’istinto di girare lo sguardo è forte, forse più per la carica di violenza che anima l’omicida che per i particolari di scena.
Stessa sensazione d’intollerabile violenza nella cella della morte.
Il condannato scalcia, si ribella, i secondini gli sono addosso, il boia svolge con spietata efficienza il suo dovere, il prete idem, e frettolosamente si ritira.
Il tasso di violenza contenuto nelle due sequenze è identico, la differenza è nella mano che dà la morte, un ragazzo disperato e violento e un tribunale di Stato.
Jacek è un ragazzo torvo, un viso triangolare sormontato da un biondastro ciuffo disordinato, si aggira per le strade di Varsavia come un rapace, compie gesti violenza gratuita e medita il suo piano scellerato avvolgendo intorno alle mani la corda con cui compierlo.
Il secondo personaggio è Waldemar, tassista ripugnante, grasso e untuoso, sguardo lascivo sulla giovane commessa ammiccante, incurante di clienti in attesa, tira a lucido l’auto con cura ossessiva.
E’ la vittima designata a cui Jacek, preso in macchina alla fine del lungo rituale di pulizia, non lascia scampo compiendo l’opera del laccio strangolatore con un masso scagliato sul cranio del poveretto.
Nulla è risparmiato all’orrore, dichiararsi contrari alla pena di morte comminata dallo Stato è scelta necessariamente difficile, un imperativo categorico che agita le coscienze quando il male è al suo apice.
Ma chi è più ripugnante di Caino?
Il polo positivo del terzetto è Piotr, avvocato fresco vincitore di concorso, uomo retto e sensibile, felice della sua prima nomina, festeggia con la futura moglie nello stesso bar in cui è passato Jacek prima dell’omicidio.
Difensore di Janek al suo primo caso in tribunale, si sente responsabile della sua condanna e assisterà fino all’ultimo, sconvolto, all’esecuzione.
La scena drammatica dell’incontro in cella fra i due dopo la condanna entra nello spazio interiore dei due uomini, ne mette a nudo la sostanza umana più vera, svela quanto l’ambiente e la Storia operino nel condizionare l’ individuo e deciderne la sorte.
L’etica del comportamento sociale prende corpo non nell’astrazione di un pensiero filosofico ma nella concreta realtà della prassi. Jacek è il prodotto malato di uno smarrimento collettivo, la sua condanna non assolve chi la mette in pratica.
Un ratto morto nella pozzanghera e un gatto impiccato che dondola sullo sfondo di uno di quei quartieri degradati di cui pullula il mondo aprono il film con oscuro presagio, povertà, abbrutimento, barbarie sono il prodotto di una vecchia storia, e l’uomo continua a difendersi con barbarie uguale e contraria.
Kieslowski, in collaborazione con il suo sceneggiatore di fiducia, l’avvocato dissidente Krzysztof Piesiewicz e il musicista Zbigniew Preisner, che ha composto la musica per tutti i suoi lavori, parla di un Paese, la Polonia, a cui la caduta economica e la perdita della libertà, la guerra e le atrocità viste e subite in prima persona hanno ridotto la vita alla dimensione di una tragica inevitabilità, o fai il male o lo subisci.
Il codice simbolico adottato, la distanza emozionale che pone uno degli imperativi più ardui sulla vita e sulla morte, l’assoluta libertà di coscienza che lo rende immune da intenti propagandistici e virate predicatorie, fanno del quinto episodio del Decalogo una delle voci più forti del cinema dell’Est prima della caduta del Muro.
Nessuno tocchi Caino, è l’appello che viene da un mondo che avrebbe tutte le ragioni indotte dalla sua storia pe uccidere Caino, tranne una.
Frères humains qui apres nous vivez
N'ayez les cuers contre nous endurciz,
Car, se pitié de nous pauvres avez,
Dieu en aura plus tost de vous merciz.
(Ballade des pendus -L'épitaphe Villon)
www.paoladigiuseppe.it
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