Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film
Jarek è un ventenne disoccupato che senza apparente motivo uccide barbaramente un taxista. A difenderlo in tribunale viene incaricato Piotr, un avvocato alle prime armi, ma Jarek viene condannato.
Kieslowski avrebbe potuto fare un film filosofico sulla violenza e invece ci presenta l'omicidio per quello che è: un atto insensato e barbaro.
Sette minuti di insostenibile ferocia che ti allontana dalla violenza. Non c'è il minimo compiacimento autoriale solo la cronaca pura e reale dell'atto. Insomma siamo agli antipodi di Tarantino.
Ma la violenza non è solo quella dell'omicida ma anche quella perpetrata dallo stato: al momento dell 'escuzione, Jarek tenta di fuggire e tutti i presenti si avventano su di lui, nello stesso modo in cui lui aveva fatto al taxista.
Che differenza c'è tra l'omicidio e la pena di morte? Nessuna: sono entrambi atti barbarici.
Kieslowski ci fa capire che sia l'omicida, sia la pena di morte sono il risultato della società polacca.
Il ragazzo è stato abbandonato dalla collettività ed è cresciuto senza valori, sia la pena capitale è solo il metodo più sbrigativo ed economico per punire, invece che recuperare le reinserire le persone che hanno sbagliato.
Lo stesso taxista non è un personaggio positivo e fa parte del degrado della società polacca tardo sovietica.
Lo stesso ragazzo non è completamente cattivo. Dimostra umanità nella scena in cui chiede all'avvocato di contattare la madre.
L unico personaggio positivo è Piotr che tenta in tutti i modi di salvare Jarek e sembra l'unico a capire che uccidere chi ha ucciso sia un'assurdità: non esiste pena che possa impedite di commettere un reato, neanche la pena di morte.
Un film da vedere, rivedere, studiare e consigliare.
Il miglior film del regista polacco e probabilmente il miglior film degli anni 80.
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