Regia di Claude Autant-Lara vedi scheda film
Due storie del dopoguerra: un prete tedesco va sotto processo per aver fucilato un partigiano eseguendo un ordine dei superiori, un giovane pacifista francese si rifiuta di svolgere il servizio militare. Film dalle nobili intenzioni, piuttosto audace per un’epoca in cui l’obiezione di coscienza era ancora un tema esotico, ma troppo compassato, legnoso, verboso; non si prova nessuna simpatia per il personaggio di Terzieff, un damerino dall’aria melensa e dall’intransigenza quasi disumana. Qualche scintilla nella parte centrale, quando i due protagonisti entrano in contatto e scoprono di parlare due lingue diverse (altro che “fanno amicizia”, come vuole Mereghetti); ma la lunga conclusione in tribunale è soporifera. Sembra uno dei film a tesi di Cayatte; invece è firmato da Autant-Lara, anche se quella che conta è soprattutto la sceneggiatura di Aurenche e Bost. Comunque la morale, per quanto implicita, è sufficientemente chiara: per i militari l’obbedienza è sempre una virtù, a prescindere dalle distinzioni di nazionalità.
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