Regia di Lorraine Levy vedi scheda film
L'idea di partenza è plausibile e accattivante: durante un bombardamento su Haifa, i dirigenti dell'ospedale dove sono appena nati due bambini - uno israeliano, l'altro palestinese - sono costretti a ordinare una rapidissima evacuazione. Diciotto anni dopo, per caso, una delle due famiglie scopre che il loro figlio (Sitruk) non è davvero loro: durante lo sfollamento il neonato fu scambiato con un altro. Dirlo? Non dirlo al diretto interessato? Il dubbio dura poco e le due famiglie, in un estenuante andirivieni oltre cortina, cominciano a frequentarsi, figli compresi, a dispetto della diffidenze dei due padri e della totale recalcitranza del fratello del ragazzo arabo.
Ennesima declinazione del tentativo di riconciliare gli opposti del conflitto arabo-israeliano, il film della regista francese Lorraine Lévy, ebrea non praticante, è una via di mezzo tra Totò le heros e Il giardino di limoni: ritmo serrato, narrazione efficacissima, ma anche molti elementi romanzati e implausibili, qualche didascalia di troppo e un finale decisamente edulcorato che stride soprattutto con la capacità di raccontare - ed è questo il merito principale del film - la pressione sociale esercitata sui due diciottenni, che si fa massima quando al ragazzino ebreo viene detto che l'altro, per ragioni genetiche, è più ebreo di lui, che ha mandato la Torah a memoria.
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