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Il figlio dell'altra

Regia di Lorraine Levy vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il figlio dell'altra

di laulilla
7 stelle

L’antico tema dello scambio in culla dimostra che abbattere i muri – quelli che chiudono le frontiere degli stati e quelli della mente – è necessario. In questo film – come nella vita – l’altro è quello che potevamo essere noi, nati, per caso, “dall’altra parte".

 

La possibilità che davvero gli scambi in culla possano verificarsi anche oggi è rara; talvolta, tuttavia, qualche notizia di cronaca ci ricorda che, per quanto difficili, fatti del genere non sono impossibili.

Dalla cronaca infatti prende l’avvio questo film della regista francese Lorraine Lévy, che racconta la storia di due diciottenni, molto amati e splendidamente educati dalle rispettive famiglie, che per puro caso apprendono di essere stati scambiati alla nascita.

 

Le rispettive madri li avevano partoriti in un ospedale attaccato dalle bombe: nella concitazione della fuga, si erano trovate fra le braccia, senza saperlo, il bebé sbagliato, cosa che non aveva impedito loro di amarlo, allattarlo, educarlo e farlo crescere nel modo migliore.

Probabilmente questa condizione di felice ignoranza delle proprie origini si sarebbe protratta all’infinito se Joseph Silberg (Jules Sitruk), diciottenne di Tel Aviv, alla fine del liceo, non avesse voluto diventare, come suo padre, ufficiale dell’aviazione israeliana.
Gli esami del sangue avevano rivelato l’anomalia del suo gruppo sanguigno, incompatibile con quello dei genitori; le successive ricerche avevano lasciano emergere la verità di quell’antico errore. La vita tranquilla di Joseph, perciò si era trasformata nell’ angoscioso interrogarsi circa la propria identità, soprattutto dopo aver appreso che il figlio ” vero”, quello che avrebbe dovuto essere lì, al posto suo, era il palestinese  Yacine Al Bezaaz (Mehdi Dehbi), vivente nei territori occupati della Cisgiordania.

 

La vicenda perde pertanto i contorni del “caso” difficile da accettare, ma pur sempre privato, per diventare l’emblema della situazione difficile dei Palestinesi e degli Israeliani, i due popoli, che, sia pure con diversi gradi di responsabilità, avevano nel tempo, seminato odi, diffidenze, risentimenti e rancori e avevano creato muri, barriere e fili spinati veri e metaforici, dietro i quali nessuno scorgeva l’umanità dolente del’altro, diventato, infine, il nemico.

 

 

Eppure, poco oltre i crudeli confini che li separano, uomini e donne, giovani e anziani soffrono e  vorrebbero essere accettati senza paure e senza vendette, così come vorrebbero convivere in pace e amicizia le famiglie Silberg e Al Bezaaz, nell’interesse dei due ragazzi, umanamente simili nei sogni, nei valori e nelle speranze.


Le due madri – Orit (Emmanuelle Devos) e Leila (Areen Omari) – più degli uomini (padri e fratelli), conservatori e legati purtroppo a una identità prepotentemente esibita, sarebbero state artefici del “miracolo” necessario: grazie a loro il dramma delle loro famiglie si sarebbe trasformato in un’occasione di conoscenza profonda, nell’interesse dei due figli scambiati che scoprono l’amicizia e l’accettazione reciproca, fondamento della pace.

 

Il film, dopo più di dieci anni dalla sua realizzazione, è attualissimo e abbastanza  convincente, grazie alla regia, che si mantiene asciutta e sobria nel corso di tutto il racconto, anche se non sempre tutti i conti tornano e alla fine i toni virano pericolosamente verso il dolciastro.

 

 

 

 

 

 

Chi non conosce questo film può trovarlo in streaming.

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