Regia di Franklin J. Schaffner vedi scheda film
La storia di Henry Charrière detto Papillon per la farfalla che ha tatuata sul petto è messa in scena con grande efficacia da un maestro del cinema di ampio respiro come Franklyn J. Schaffner servito al meglio dal romanzo autobiografico del protagonista della storia che trova in Steve McQueen un interprete a dir poco strepitoso alla sua ultima prova significativa prima dell'inesorabile declino professionale dovuto in gran parte al cancro che lo divorò nell'arco di pochi anni.
La matrice letteraria sulla quale si sviluppa la storia fu ampiamente criticata perché molti considerano le disavventure di Charrière non esattamente personali, nel senso che molti degli episodi da lui narrati sono da attribuire ad altri carcerati ma per quanto mi riguarda il film non ne risente affatto, al contrario favorisce l'impegno preso da McQueen nell'incarnare un uomo pieno di risorse e con un grande desiderio di libertà scaturito dall'ingiusta pena afflittagli dalle istituzioni: attaccabrighe, facile di coltello e spirito ribelle ma sicuramente non un assassino.
L'inizio per le strade di Parigi con i condannati alle prigioni della Guyana che sfilano sotto gli occhi rabbiosi della gente comune è già una scena di forte impatto visivo ed introduce sia Papillon che Dega, l'indifeso imbroglione che gli diventerà amico per la pelle durante la sua via crucis carceraria e bisogna ammettere che affidare il ruolo ad un emergente Dustin Hoffman è stata una mossa azzeccata nonostante gli attriti sul set emersi fra i due divi il loro affiatamento è un altro punto vincente della pellicola.
Il viaggio in nave verso l'America latina mette subito in chiaro che non sarà una vacanza di piacere fra invertiti armati di coltello e brutti ceffi pronti ad aprirti le budella se hai nascosto nello sfintere denaro o gioielli che serviranno per sopravvivere ad una prigionia che non da speranza di cavarsela; durante la traversata Papillon intravede in Dega un amico da tenere al sicuro sotto le ali della sua farfalla non solo perché provvisto di fondi da investire per una ipotetica fuga ma anche perché potrà rivelarsi un amico prezioso nell'inferno che li aspetta come raccontato da Julot che è al suo secondo viaggio verso la Guyana e per regolamento sarà destinato alla temuta Isola del diavolo, per questo motivo al momento dello sbarco chiede a Papillon il coltello con cui ha sfregiato un galeotto che voleva aggredire Dega per procurarsi una ferita e finire in infermeria ed imbastire una fuga disperata.
La prigione è un inferno peggiore della fossa abitata da Lucifero e Papillon tenta da subito una possibile fuga ma scoprirà presto che non può fidarsi di nessuno e paga con due anni di isolamento il tentativo fallito.
La sequenza della cella di isolamento che domina il primo tempo è a mio avviso la parte più bella dell’intera pellicola, la condizione di solitudine che si prova in una situazione del genere è resa benissimo dalla regia di Schaffner che amalgama la sceneggiatura con tocchi semplici ma estremamente efficaci e trova in McQueen un attore che per questi venti minuti di film dovrebbe essere mostrato in ogni scuola di recitazione della terra: il suo pigiama bianco diventa sempre più logoro e sporco col peggiorare della sua salute intaccata anche dal fatto che Dega gli passa di nascosto cibo extra finché Papillon non viene scoperto con un granchio nel secchio dell’acqua che lo fa urlare di dolore ma non per questo tradisce il suo amico, il direttore lo incalza perché vuole il nome di chi gli passava le razioni ma Papillon tiene la bocca chiusa e viene messo a mezza razione fino allo scadere dei due anni e senza luce per due mesi.
La fatica psicofisica che subisce Papillon rimbalza negli occhi dello spettatore costretto ad assistere ad una prigionia disumana con lo schermo che fa filtrare poca luce ma sufficiente a mostrare scolopendre sminuzzate e scarafaggi sguscianti che diventano il pasto giornaliero di Papillon, sempre più emaciato ed al limite del collasso mentre i denti cominciano a cascare per un possibile scorbuto da denutrizione che lo sta piegando.
McQueen è come detto mastodontico nel suo logorio fisico, quando gli restituiscono la luce si rifugia sotto il suo minuto e sporco giaciglio da dove sogna di percorrere le strade di Parigi da uomo elegante con l’amico Dega finchè il suo sogno si tramuta in un incubo con i corpi di Juliot e Lariot che gli si parano davanti come due zombi e la sua voce si fa cavernosa mentre sfuma sulla sua cella lurida e piena di cimici a chiusura di una sequenza dalle venature horror che spaventa per la sua evidente costruzione onirica con quell’immagine capovolta che fa spavento sui volti cadaverici dei due carcerati che sembrano invitare Papillon a raggiungerli al più presto.
L'incubo di Papillon
La dura prigionia subita da Papillon lo lascia esausto ma ancora vivo e con l’aiuto di Dega riesce una volta riammesso alle carceri ordinarie a rielaborare una nuova fuga che va in porto questa volta aprendo una seconda parte all’insegna dell’avventura in un territorio ostile.
Gli episodi si susseguono a blocchi narrativi: a volte drammatici come la stupenda sequenza dell’isola dei lebbrosi dove Papillon è disposto a contrarre la malattia piuttosto che tornare in gabbia e a volte più distensivi come quando Papillon giunge nella tribù indigena e sembra trovare un luogo paradisiaco nel quale mettere radici, ma purtroppo per lui le sorprese in negativo non sono finite.
L'isola dei lebbrosi
La nuova cattura lo riporta a quella cella sudicia e buia per altri 5 anni e McQuenn se ne esce con una impagabile camminata a scatti da vecchia pellaccia che lo conduce all’Isola del diavolo dove ritrova Dega ormai abbandonato al suo destino e alle prese con un orto da coltivare in una cella casupola senza sbarre perché la prigionia all’Isola del diavolo è delimitata da un oceano feroce con onde e squali pronti a farti a pezzi, ma la voglia di libertà di Papillon è più forte e niente affatto sopita.
La musica di Jerry Goldsmith è come sempre un valore aggiunto ma il maestro ha fatto di meglio e il film oltre al suo indiscusso valore è come detto l'ultima prova enorme di McQueen davvero un gigante in questo ruolo ed è un peccato che Henri Charrière sia morto prima dell'uscita del film che racconta le sue disavventure e non poté assaporare la stupenda immedesimazione di McQueen col suo personaggio.
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