Regia di Franklin J. Schaffner vedi scheda film
Uno dei film carcerari più belli di sempre questo Papillon; ma che a distanza di decenni dalla sua uscita, offre parecchi spunti ed analisi interessanti; poiché riesce a trascendere la sua appartenenza al suo filone.
Il regista è Franklin J. Schaffner a cui dobbiamo quel capolavoro distopico-apocalittico del Pianeta delle Scimmie (1968). A dispetto della differenza di genere tra le due pellicole, c'è molta comunanza stilistica con il film in questione.
Come in quasi tutti i film carcerari, abbiamo il protagonista Papillon (Steve McQueen) e il suo compagno Dega (un inedito Dustin Hoffman), che cercano di evadere dalla prigione (in questo caso una colonia penale situata in piccoli atolli nella Guinea Francese).
In sostanza nulla di originale; ma come sempre la cosa più importante per chi si dice amante del cinema, è soffermarsi su come le cose vengano narrate ed indubbio dire che Schaffner tra fine anni 60' e inizio anni 70', avesse un bel manico. Sfruttando l'interessante sceneggiatura di Dalton Trumbo; il regista mette in scena un film crudo e sporco, dove la natura verdeggiante, non ha niente di bucolico, ma nasconde solo insidie che giorno dopo giorno sfiancano l'animo dei prigionieri costretti ai lavori forzati.
Sferzati dalla natura e sfiancati dalle continue vessazioni dei loro carcerieri che traggono piacere da ciò, giorno dopo giorno i corpi dei detenuti deperiscono sino a giungere alla morte.
Schaffner compie un lavoro di indagine sul corpo in effetti; Dega con il suo fragile corpo, non ha altra scelta che appoggiarsi sulle spalle forti dei propri compagni, poiché non ha le capacità fisiche per poter superare il duro regime carcerario; mentre Papillon con il suo corpo robusto e tozzo, si erge stoicamente contro una natura maligna e un sistema carcerario che punta a spersonalizzare il detenuto, il quale non è un soggetto portatore di qualche diritto, ma solo un animale da sfruttare per farne carne da macello.
Non è un caso che il punto più alto della pellicola risieda nella lunga parte dedicata all'isolamento dove Schaffner tra soggettive sfocate, deliri allucinogeni e dilatazioni temporali, fa' emergere il suo personale stile registico che punta allo straniamento dello spettatore verso la materia filmica. McQueen in quell'angusta cella (che con quest'opera ci regala la sua miglior perfomance) in modo titanico si carica sulle sue spalle, sempre più deboli per la fame e il decadimento mentale dovuto al duro regime d'isolamento, tutto il peso della pellicola.
Papillon tratta di amicizia, sopprusi, lotta, denuncia sociale e soprattutto della volontà umana, che nonostante l'invecchiamento sia fisico che mentale, mira sempre ad uno sguardo di libertà oltre l'orizzonte infinito del mare, visto come una desolante distesa a perdita d'occhio. Non è una pellicola facile e soprattutto non è perfetta. Papillon infatti è una visione a tratti troppo prolissa, logorroica, tirata per le lunghe e che paga l'azzardo di aver dato concretezza fisico-meteriale troppo a lungo ad un non-luogo come la libertà. Altra pecca è il finale con una voce fuori campo che a mio avviso distrugge parte della carica figurativa di questo insondabile ed imprescrutabile detenuto, di cui sappiamo solo che è incarcerato per omicidio, ma che per tutta la sua vita non ha fatto altro che lottare per far coincidere la sua volontà esistenziale di libertà, con quella del suo corpo sempre più decadente ed acciaccato; ma fortunatamente contenente ancora la forza di lanciare un potente grido anti-sistema.
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