Regia di Rich Moore vedi scheda film
Ricco, ma pesante, proprio come una voce enciclopedica. Questa antologia animata sulla storia trentennale dei videogames, sovraccarica di suggestioni rétro, rimane impigliata nella sua voglia di dire tutto e in maniera corretta, rimanendo perfettamente fedele allo spirito dell’oggetto descritto. E così il racconto procede col passo lento e stentato dei primi rudimentali trastulli elettronici, quei primitivi prodigi informatici in cui singoli punti luminosi, oppure ammassi di macroscopici pixel, rimbalzavano da un bordo all’altro dello schermo facendo bip bip. Il tono di questa storia, i cui protagonisti sono gli avatar di alcuni tra i più popolari giochi degli anni ottanta, si trascina, stanco, in una rievocazione che pare voler trasformare i limiti delle tecnologie di allora in un vezzo infantile a cui ripensare con indulgente nostalgia. E dire che il fascino di quelle creazioni risiedeva, al contrario, nella loro novità, in quella interazione tra uomo e macchina che sembrava, d’un tratto, uscita dal regno della fantascienza per entrare direttamente nelle case di tutti, e diventare una realtà malleabile a piacere, con una semplice pressione del pollice sul joystick. Ciascuno, poteva, improvvisamente, costruire storie, partite, sfide che iniziavano a prendere una forma dinamica e visibile, come in un clip, nello stesso momento in cui venivano immaginate. Di questa emozione, purtroppo, non si coglie nessuna traccia nel film di Rich Moore, in cui la citazione equivale al riutilizzo passivo di un ricordo antico, al quale il passare del tempo non ha aggiunto nulla, nemmeno un pizzico di riflessione sul modo in cui il progresso e il cambiare delle mode si facciano sentire anche nel mondo del divertimento. La sceneggiatura è incredibilmente priva di fantasia, con dialoghi prevedibili, banali, semplificati fino all’osso, che periodicamente ritornano, con fastidiosa insistenza, a ribadire, con identiche parole, concetti e situazioni già noti (Ralph è un cattivo soggetto che vive in una discarica, si sente solo, vorrebbe essere buono e vincere una medaglia; gli apparecchi della sala giochi, quando iniziano a funzionare male, vengono buttati via). Nella trama si intrecciano vari inseguimenti e percorsi di caccia che non si rivelano particolarmente avventurosi, mentre i colpi di scena vistosamente latitano: l’azione non riesce a mettersi in moto, frenata da una narrazione meccanica che cura il dettaglio ma trascura completamente il ritmo. Il film, curiosamente, sembra esaurirsi quasi tutto in un prolisso antefatto del finale, l’unica parte veramente spettacolare, che, per fortuna, è anche in grado di riservarci qualche piccola sorpresa. Il resto è una costruzione che arranca in un pedantesco sforzo di riproporre il vecchio senza ravvivarlo con la freschezza dell’invenzione: e dire che introdurre una puntina di originale modernità – che non si può risolvere, come in questo caso, nell’opaco, e un po’ pretestuoso, inserimento di una schiera di cyborg - sarebbe il miglior modo di tributare, al passato, un sentito e personale omaggio d’amore. Ciò non accade, purtroppo, in questo cartone tecnicamente elaborato ed esteticamente gradevole, dalla visionarietà coloratissima, però invariabilmente tiepida.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta