Regia di Nikos Papatakis vedi scheda film
Un film di chiara tendenza politica, e contro l'uso indiscriminato della tortura effettuato occultamente dai governi (non solo quelli guidati da dittatori). Eccezionale l'interpretazione della Karlatos nel ruolo di attrice, coinvolta anche sul piano realistico della terribile pratica.
Francia. L'attrice Galaï (Olga Karlatos), madre di un bambino del quale si occupano i nonni, si trova coinvolta dal compagno (e regista) Hamdias nella realizzazione di un film sulla tortura. Interpreta una terrorista musulmana, caduta nelle mani delle forze armate paracadutiste francesi durante la Guerra d'Algeria. Hamdias alterna l'attività di regista con quella di rivoluzionario, dovendo fuggire per evitare ritorsioni da parte di alcuni "compagni" traditori. La lavorazione del film è travagliata, con scene girate da tempo e montaggio mai concluso, a causa della carenza di fondi. Galaï tenta, inutilmente, di prendere parte al ruolo di un'altra pellicola, finché si trova ospite di un salotto borghese, per sottoporre alla visione di un produttore parte del girato, nella speranza di ottenere il finanziamento necessario a concludere le riprese.
"Un'ultima cosa: se mi dovesse capitare una disgrazia, sappi che nella vita non avrò mai provato maggior sofferenza che all'aver dato alla tortura la forma del tuo corpo nudo. Dei tuoi lineamenti, del tuo sguardo. Di averti anch'io, in qualche modo, torturata…" (Hamdias)
Ci sono registi che approdano alla settima arte in parte per pura coincidenza, o perchè sentono necessità di raccontare qualcosa che ritengono importante e reputano il mezzo cinematografico essere il più adatto. Qualcosa che ritengono giusto essere "gridato" a viva voce e che possa contribuire utopisticamente a trasformare il mondo, rendendolo magari più equo per tutti. Nikos Papatakis è uno di questi. Nell'opera d'esordio Le abysses (1963), Papatakis è ispirato dalla tragica vicenda delle sorelle Papin, due giovani orfanelle assunte come domestiche, che nel 1933 dopo anni di soprusi e violenze uccisero la loro padrona e sua figlia. Un soggetto politico, simbolo -per estensione- della rivolta della classe sociale meno abbiente. Nel 1967 è la volta di Thanos and Despina, la storia di un'impossibile storia tra due amanti di differente estrazione sociale. Passano gli anni, ma Papatakis ha ancora molto da dire, ed estende l'argomento della rivoluzione a livello mondiale: non più e soltanto due orfanelle, né una coppia contrastata dai genitori per differenze di classe sociale. Con Gloria Mundi il regista allarga il tiro, come dimostra il discorso di Galaï, tenuto in un salotto borghese e arrogante, prima di compiere un attentato (fallito) da eseguire con un plastico esplosivo: "Gente di buona coscienza, abbiamo spesso dichiarato la nostra solidarietà con i morti, i torturati: quelli del Vietnam, dell'Algeria, del Cile, del Brasile, della Palestina. Per chiedere questa solidarietà, per ottenere adesioni, abbiamo organizzato marce, incontri. Abbiamo fatto spettacoli, scritto articoli, chiesto testimonianze. Tutte manifestazioni, purtroppo, presto assimilate, digerite, espulse. Recuperate, come si dice. Ma nessuno nella realtà può essere solidale con un morto se non da morto, o prossimo a morire per la sua stessa causa. Con un torturato, se non si mette in condizioni di subire la tortura, affinché un giorno tutto questo finisca. (...) Non c'è nessuna forza al mondo, nessun sistema che possa recuperare, a parte i nostri cadaveri, gli ultimi secondi della nostra vita, il nostro ultimo respiro. Certo, si potrà sempre distogliere il significato di questo atto: massacro, carneficina, bagno di sangue, suicidio collettivo. Ma gli umiliati, gli oppressi, nella loro rivolta sono i soli in grado di dare un senso ai loro atti. Che tu qualifichi come abietti. Tu, comunità internazionale, tu che hai concesso loro l'abiezione come unico stile di vita."
Papatakis fa dunque cinema politico, collocando la storia in un contesto sociale specifico che tira in causa le responsabilità del governo francese nei confronti dell'Algeria. È cinema complesso, stratificato, che oscilla tra due posizioni estreme (reazionari e rivoluzionari) senza mai optare per l'una o l'altra. Anche se il terrorismo di matrice rivoltosa sembra (cosa terribile, se mai lo fosse) essere visto con più tolleranza, come dimostra il dialogo più sopra riportato. Gloria Mundi è un film che può non piacere, che probabilmente oggi risulta essere sgradito alla maggior parte degli spettatori. Principalmente a causa di dialoghi cervellotici e di un attaccamento al periodo storico che potrebbe essere sconosciuto al pubblico giovanile. Ma il discorso di fondo ha valore, eccome, potendo essere oggi aggiornato al nuovo contesto mondiale, in quei tristi ambienti nei quali, purtroppo, ancora l'uso della tortura è praticato. E la stupenda performance della Karlatos, da sola, sorregge l'intero impianto filmico. È evidente quanto la bellissima attrice greca sentisse a cuore il tema, arrivando a dare spessore, sensibilità e coraggio al personaggio che -con grande immedesimazione- porta sullo schermo. Al punto di recitare nuda e senza freni in scene estreme (le bottiglie stappate con la vagina, le ferite prodotte sul petto da mozziconi di sigaro, l'interrogatorio subito da parte di quattro sadici militari, l'elettroshock). In mezzo a momenti di staticità, anche narrativa, Papatakis inserisce siparietti emozionanti facendo ricorso anche all'ottima colonna sonora di Nico Fidenco, per la quale -in via del tutto eccezionale- la Karlatos presta la voce in un paio di profondi e coinvolgenti brani lirici.
Il ponte sul fiume Senna, ottobre 1961
Sulle romantiche note di Nico Fidenco, la Karlatos canta una canzone, mentre nello sfondo appaiono immagini di Parigi e della Senna.
"Son mille le vite, son mille le morti, che sento dentro me. L'anima mia viva è morta, senza te. Son mille le grida di morte e d'amore che sento urlare in me. Posso mai gridarle, senza te… ma come finira? Dov'è la mia crudezza, dov'è mai la differenza tra finzione e realtà. Ma il grido mio dov'è? Il grido di dolore, qual è mai la mia tortura, dov'è mai la tua tortura, e dov'è mai la verità. Dov'è l'illusione che sempre s'insinua in questa vita mia, posso mai vedere la realtà? Io voglio sapere dov'è che incomincia la vera verità… dove la commedia finirà. Ma come finirà? Dov'è la via di mezzo, dov'è mai la differenza tra finzione e realtà?"
Il brano viene bruscamente interrotto da una frase, pronunciata fuori schermo da Hamdias:
"Sotto il ponte de la Concorde scorre la Senna, e scorreva nell'ottobre 1961, e scorre ancora: l'odio. L'odio dell'arabo, del negro, di tutti gli immigrati. Tu scorri… scorri. Amante degli affogati venuti dall'Algeria, gettati dal ponte tra le tue braccia, dai poliziotti della Ville Lumière. Parigi, tua amante nell'ottobre del '61, durante l'unica manifestazione algerina. Galaï, devi ricordartene sempre…" (Hamdias)
Dopo il ricordo del terribile evento realmente accaduto, ammesso solo nel 1998 dalle autorità francesi, procede la canzone cantata dalla Karlatos:
"Ci culla un ruscello, un ruscello di morte che lentamente va. Ma un turbine di vita ci travolgerà. Son mille le morti che sento dentro me. Son mille le grida di morte e d'amore che sento urlare in me."
Citazioni
- "La resistenza della donna, la sua maggiore longevità sono solo digressioni mistificatrici, scientiste. Fin quando la società non saprà offrire una zona infinita di diversità delle nazioni, voglio essere libera di scegliere la mia: ho scelto di sottomettermi all'uomo, al fallòforo." (Galaï)
- "Il rivoluzionario sottosviluppato diventa addirittura reazionario quando si tratta di sesso. Noi viviamo in un'epoca in cui si delinea un movimento irresistibile, alla ricerca di una felicità comunitaria. Dove il fallimento della felicità a due è un fatto acquisito. E loro sono ancora alla sottomissione del clitoride al pene. Ebbene, ti tranquillizzerò piccolo pappagallo rivoluzionario: una fica, che riceve un cazzo, e un cazzo che si è appena accomiatato dalla stessa, una volta lavati sono come nuovo…." (Ragazza ospite alla proiezione del film di Hamdias)
- "Non dirò che amo Hamdias o che lui ama me, non sarebbe esatto. E neanche dirò che non esistono riserve tra me e lui. Io dico solo che sono malata di lui. Che lui è malato di me. Che siamo tutti e due storpi l'uno dell'altro. Monchi di noi e di quello che ci circonda. Invalidi, incapaci di liberarci di quello che ci soffoca. Malati, da urlare. E io urlo: non ne possiamo più di pseudo borghesi proletari, di civiltà. Siamo malati di dogmi e di dogmatismi, appestati di pseudo libido liberatrici, lebbrosi di comunicazione ideologica, di liberalismo, di imperialismo, di femminismo. Infettati di neo cristianesimo, di spiritualismo. Corrosi dal morbo di Freud, dal canto del fascismo, della social borghesia… tutti sifilitici, tisici, marci." (Galaï)
Curiosità
Quando Galaï si presenta nell'ufficio di un produttore nella speranza di ottenere un ruolo d'interprete per un film, sulla parete sono in bella evidenza diversi manifesti cinematografici, tra i quali anche quello di Adolescenza perversa (1974) di José Bénazéraf.
"Chi è stato torturato rimane torturato. […] Chi ha subito il tormento non potrà più ambientarsi nel mondo, l’abominio dell’annullamento non si estingue mai. La fiducia nell’umanità, già incrinata dal primo schiaffo sul viso, demolita poi dalla tortura, non si riacquista più." (Jean Améry)
Titoli di testa
N.B. La versione del video seguente è riservata solo ed esclusivamente a un pubblico adulto
F.P. 18/01/2020 - Versione visionata in lingua italiana (durata: 94'51")
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