Regia di James Gray vedi scheda film
“The Immigrant” (ma anche il titolo italiano è efficace nel rimando testuale al capolavoro leoniano) mette in scena una storia profondamente umana e pregna di calore compassionevole, tramite la quale Gray rivendica la necessità, nel cinema moderno, di un respiro classico perduto. Il racconto spurio e l’amore per i personaggi che lo popolano – sembra dirci il regista – sono oggi, ancora più che nel passato, i parametri cardinali della Settima Arte. È grazie a questo che “C’era una volta a New York” vive di una sincerità e di un cuore quanto mai preziosi e lodevoli (guardare, sotto quest’ottica, la sequenza in cui Ewa, procurandosi una piccola ferita, usa il sangue come rossetto: i piccoli dettagli che fanno il grande cinema).
Marion Cotillard inarrivabile, Phoenix gigantesco, una ricostruzione storica impeccabile, catturata da una fotografia calda e affascinante; echi de “Il padrino – Parte II” e di Dreyer (guardate la scena della confessione) e un’inquadratura finale che potrebbe tranquillamente entrare in un’ideale compilation delle più belle degli anni zero.
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