Regia di Chan-wook Park vedi scheda film
Alla morte del padre in uno strano incidente d'auto il giorno del suo 18° compleanno, la bella ed introversa India si vede precipitare in casa l'ambiguo ed affascinante zio Charlie che inizia a flirtare con la madre ed a solleticare in lei gli strani istinti e le misteriose pulsioni di una inquieta indole adolescenziale. Quando tanto la nonna che la zia spariscono misteriosamente proprio mentre sono sul punto di confessare una indicibile verità che riguarda l'uomo, India viene trascinata in un labirinto di ossessioni e complicità che le faranno scoprire il lato più oscuro ed inespresso della propria natura.
Un pò thriller psicologico un pò favola horror, questo dramma familiare a tinte fosche è impregnato dei torbidi sentori di tetri umori domestici finendo per ripercorrere le strade più volte intraprese dal regista coreano (qui in una riuscita trasferta americana) nell'indagare i lati più oscuri e perversi della natura umana a confronto con gli istinti più brutali legati alla sopraffazione dell'altro, alla bieca rivalsa sul tradimento degli affetti più privati e finanche all'affermazione dei codici di uno spietato ordine sociale.
Sulla sceneggiatura scritta dall'attore Wentworth Miller, che dice di essersi ispirato tanto al Dracula di Bram Stoker quanto a 'L'ombra del dubbio' di Alfred Hitchcock, Park Chan-wook contamina il suo stile sospeso tra onirismo e simbolismo, con i capisaldi più classici del thriller hollywoodiano divertendosi ad introdurre i personaggi secondo i ruoli prestabiliti dalla loro funzione nell'economia del racconto (la nipote psicolabile, lo zio psicopatico , la vedova giovane e insoddisfatta, le vittime sacrificali) ma riservandosi di rivelarne istinti e motivazione solo lungo i percorsi paralleli di una storia familiare tenuta al riparo dai facili clichè del genere (la tensione corre sul filo) per farli deflagare nell'assordante silenzio di un finale che affoga nel sangue e nella follia.
A tratti irresistibile (virtuoso) negli stacchi del montaggio e nel piano-sequenza , Park Chan-Wook orchestra un thriller hitchockiano a 18 carati facendo competere in bravura i personaggi di due predatori psipocopatici consanguinei (affetti da narcisismo patologico) legati dal 'fil rouge' di un'attrazione malata e morbosa e dalla interminabile scia di sangue di una indicibile e macabra tara familiare. Attento come sempre ai cromatismi cinerei di una storia che si dipana tra gli interni claustrofobici di un'ossessione domestica e gli esterni abbacinanti di un trasognato idillio favolistico, il regista coreano sposta la sua attenzione dalla caratterizzazioni noir dei personaggi tipici del maestro inglese (vedere per credere la melliflua ambiguità dello zio Charlie di Joseph Cotten) al valore simbolico della messa in scena, cui viene spesso demandato il raccordo per una ricerca delle motivazioni psicologiche di personaggi a tratti incomprensibili (dal flashback sul trauma domestico a quello sulle scene di caccia).
Frutto più di una consapevole scelta di linguaggio che di un limite nella direzione degli attori, il film di Park Chan-Wook si avvale comunque di un cast di primordine che, a parte la recitazione senza infamia della Kidman (sempre più relegata in ruoli secondari), annovera il fascino ineffabile di un eccellente Matthew Goode ed il talento purissimo di una straordinaria Mia Wasikowska, figli degeneri di una famiglia che li ha al tempo stesso protetti e respinti e che si ritrovano al passaggio di consegne di una maturità che affoga nel bagno di sangue di un gioco al massacro (familiare) e nel battesimo del fuoco di una piena consapevolezza (liberazione) criminale.
Attraversato dagli umori misogini di una sessualità malata che non farebbe rimpiangere gli esempi più emblematici del maestro del brivido (finanche l'omaggio di una 'scena della doccia' che rese celebre Janet Leigh) il film si chiude in modo magistrale con il teatro di una scena del crimine che non ci sarà, lungo il percorso di una interminabile scia di sangue che porta dritto dritto nel prato all'inglese di un ordinato giardino degli orrori e nella chiusa ellittica di una follia omicida capace di mutare il candore di un fiore di campo nel rosso screziato di una ineluttabile vocazione di morte.
Psyco (1960): Janet Leigh
Stoker (2013): Mia Wasikowska
Quanto mai a tema le musiche di Clint Mansell e Philip Glass e l'ipnotismo insinuante della bellissima 'Becomes the color' nella versione di Emily Wells. "A volte devi fare qualcosa di male per impedirti di fare qualcosa di peggio".
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