Regia di Chan-wook Park vedi scheda film
Per il suo primo film hollywoodiano Park Chan-wook ha fatto la cosa più difficile e insieme scontata. Da autore di un cinema claustrofobico, ossessivo, concentrato sulla vendetta, la crudeltà, la possessione dell’altro, non ha resistito al richiamo del modello primordiale e ha finito per confrontarsi, guarda un po’, con Hitchcock. In Stoker ci sono l’attrazione tra nipote e zio di L’ombra del dubbio, il transfert omicida di L’altro uomo, gli strangolamenti di Frenzy, l’opposizione tra bionda e bruna di Rebecca, la prima moglie, la doccia e il poliziotto con occhiali a specchio di Psyco. Park lavora più sulle suggestioni che sulle singole citazioni e ha il merito di provare a risolvere gli aspetti sommersi dell’universo hitchcockiano. Stoker è la storia di tre psicologie e tre sessualità portate allo scoperto: una ragazzina libera un istinto omicida in realtà covato da sempre, una vedova frustrata urla alla figlia il proprio disprezzo, uno psicopatico realizza un amore incestuoso attraverso un’educazione all’omicidio. Con il suo stile barocco e calcolato al millimetro, Park crea un universo soffocante pregno di sangue e oscurità: e se la seduzione del male è palpabile, fascinosa, l’impressione generale è però quella di un film prigioniero di eccessive stilizzazioni visive e simboliche, tanto morbose e decadenti quanto in fin dei conti inefficaci, soprattutto perché desiderose di riprendere e risolvere la limpida classicità di Hitchcock.
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