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Stoker

Regia di Chan-wook Park vedi scheda film

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La recensione su Stoker

di pazuzu
8 stelle

«Proprio come un fiore non sceglie il proprio colore, noi non siamo responsabili di ciò che siamo diventati. Solo quando capiamo questo siamo liberi. E diventare adulti è diventare liberi».
 
India è vista dai compagni del liceo come una presenza fantasmatica, presa in giro e vessata perché introversa e chiusa in un mutismo che non lascia trapelare emozioni ma suggerisce una profonda insicurezza. La morte del padre Richard, al quale era legatissima, precipitato da un ponte con la propria auto in circostanze misteriose proprio nel giorno del suo diciottesimo compleanno, la lascia sola con la madre Evelyn, depressa, frustrata, ormai emotivamente distante anche da lui e al contrario di lui incapace di stabilire con lei il minimo contatto empatico. Il vuoto generato da quest'assenza forzata è però inaspettatamente riempito poche ore dopo da Charlie, lo zio che  nemmeno sapeva di avere, il quale, una volta terminato di guardare il funerale del proprio fratello maggiore da lontano, si presenta in casa scusandosi per il ritardo dovuto ad anni passati in giro per l'Europa e proponendosi per viver lì con loro per un lasso di tempo indefinito. Insospettita ma al tempo stesso attratta dai suoi modi circospetti e dalla sua ambigua esuberanza, India lo osserva interporsi in maniera tanto subdola quanto decisa in quel rapporto già artrosico, cadendo (come la madre) nella sua rete, ma traendone la forza per carpirne i tremendi segreti e comprendere di avere in mano - con essi - la chiave di volta del proprio destino.

Il coreano Chan-wook Park, noto ai più per gli ottimi Old Boy e Lady Vendetta e a molti meno (almeno in Italia) per capolavori diversissimi come Joint Security Area e Thirst, si conferma con Stoker uno dei registi più dotati nel panorama cinematografico attuale, capace di approdare ad Hollywood riuscendo a restare sé stesso e a piegare alla propria poetica e alla propria visione estrema delle dinamiche interpersonali un budget ricco (nel ruolo dell'instabile madre c'è una Nicole Kidman funzionalmente nevrotica, anche se la giovane e ormai lanciata Mia Wasikowska ed il sorprendente Matthew Goode la superano in bravura) ed una sceneggiatura solida ma non imprevedibile. Scritta dall'attore Wentworth Miller (reso famoso dalla serie Prison Break) ed inserita nel 2010 nell'ormai rinomata (ad Hollywood) Black List, ovvero la lista dei migliori script non realizzati, la sceneggiatura di Stoker è invero nulla più che discreta e neanche troppo originale (il debito evidente è con quella de L'ombra del dubbio, scritta da Thornton Wilder con Sally Benson e Alma Reville per il film di Sua Maestà Alfred Hitchcock del 1943).
Ciò che rende quella di Park un'opera unica e dal fascino singolare ed etereo è il lavoro immenso suo e del fido direttore della fotografia Chung-hoon Chung (sempre con lui da Old Boy in poi): avvalendosi della propensione di quest'ultimo a meravigliare e al contempo disturbare con colori dalle tonalità vivide e contrastate, e capitalizzando al massimo il gran lavoro sul sonoro oltre che il commento musicale impeccabile del fuoriclasse Clint Mansell e le ottime scelte per i brani aggiuntivi (le due ravvicinate e bellissime scene di seduzione, quella al pianoforte tra Goode e la Wasikowska e la successiva in sala da pranzo tra lui e la Kidman, sono accompagnate rispettivamente da un suggestivo duetto scritto ad hoc da Philip Glass e dall'intramontabile Summer Wine interpretata da Nancy Sinatra e Lee Hazlewood), il regista si presta con certosina applicazione a rimpolpare una trama sostanzialmente esile edificando mirabili architetture grafiche, strabiliando con virtuosismi mai fini a sé stessi e depistando con passaggi lucidamente allucinatori, riuscendo nella prima parte a montare una tensione cristallina e nella seconda ad affogarla nel sangue con suprema eleganza, fornendo un senso al tutto in un epilogo che, con splendida circolarità, torna al punto di partenza svelando Stoker per ciò che di fatto è: un art movie potente e formalmente portentoso che mimetizza un obliquo racconto di formazione sotto le spoglie rarefatte di un thriller psicologico strappato con la classe alla convenzionalità.

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