Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Il film si apre con un risveglio, la peccatrice Rossa (Maya Sansa), tossica, si desta in chiesa e cerca di rubare le offerte. La santità del luogo non l’ha toccata né guarita. La distanza tra ciò che aleggia nel mito e l’urgenza della carne corrotta è forse troppa, ora, perché arrivi un messaggio di redenzione. Maria ( Alba Alba Rohrwacher), attivista cattolica intraprende un viaggio della salvezza, cedendo la propria purezza alle ragioni del cuore. Un sacrificio che la apre alla verità. Il padre, il senatore Uliano Beffardi (Toni Servillo) in piena crisi di coscienza si appresta a esprimere il proprio parere contrario alla legge proposta in parlamento, contro tutto e tutti, memore di un lutto devastante ma affrontato con umana dignità. Un’ attrice Isabelle Huppert, che riveste da anni i panni della santa in attesa del risveglio della figlia in coma, sacrifica tutto il proprio mondo per questa missione.
Quattro storie legate da un filo comune, il rapporto dell’essere umano nei confronti di quella zona paludosa che sfuma il confine tra vita e morte in un territorio sconosciuto e spaventoso. Lo sfondo, il dramma privato prima e assurdamente pubblico poi, di Eluana Englaro e del padre Beppino sfiancato da 17 anni di assistenza della figlia in coma vegetativo a causa di un incidente e della sua lotta per uscire da un limbo osceno rispettando la legge. A costo di cambiarla.
E’ uno sfondo, appunto, un coro chiassoso e populista amplificato dai media e ai media, la televisione, delegato a fornire il terreno di quella palude ove le coscienze affondano nell’ipocrisia, la fede scivola sulle proprie certezze, la scienza si scopre fallace, la politica ratifica la propria inadeguatezza etica nel guidare il popolo attraverso un guado invisibile.
E’ lo sguardo di Bellocchio, laico, distaccato, impastato nella sublime fotografia di Daniele Ciprì a guidarci verso i quattro punti di vista ognuno dei quali è insieme immagine speculare e parcellizzazione di un dramma universale come quello di Eluana Englaro. Decantati per volere dello stesso regista, le reazioni emotive riguardanti la morte della ragazza, avvenuta per interruzione dell’alimentazione forzata nel febbraio del 2009, il film narra senza enfasi di personaggi alle prese con i propri fantasmi. La morte, la rinascita, la salvezza, l’etica e la morale, vengono esibiti senza animosità. Cinema morale – attenzione, non moralista – e cinema che non fornisce soluzione alcuna ai dilemmi privati dei personaggi ognuno dei quali libero, come lo spettatore, di seguire il personale diritto dell’esercizio delle proprie idee e eventualmente di rivederle con il riverbero della realtà drammatica che illumina ogni certezza, in ogni difetto possibile.
Il rischio di questi film è quello di abbandonare l’analisi per concentrarsi sul tema. Bellocchio evita qualsiasi fraintendimento in questo senso e non fornisce alcun assist né ai difensori della fede e della vita, né ai sostenitori della morte assistita. Mischia le storie in un efficace montaggio alternato evitando la sclerotizzazione dei personaggi e delle reazioni emotive. Azzecca almeno una sequenza straordinaria, con il bagno turco dei senatori che sembra un funerale tribale nel quale si svolge il dialogo tra Servillo/Senatore Beffardi e Herlitzka psichiatra dei senatori che funge da ironico grillo parlante delle segrete coscienze degli onorevoli.
La ricerca dell’equilibrio dei vari punti di vista rende però il film molto freddo e distaccato, non emozionante. Senza un protagonista forte su cui costruire la storia e la scelta di non prendere una posizione alcuna sul tema penalizza il film dal versante emotivo rischiando la sterilità. Le riflessioni sulla vita e sulla morte, argomenti universali, rimangono lì ad aleggiare nel film senza risoluzione e senza provocare empatia. La molta carne al fuoco disperde la caratterizzazione dei personaggi che risultano posticci. Bella addormentata diventa così un film corale di un coro dissonante e distante, eco su eco nella contemporaneità nelle voci senza volto, nel quale non si è né protagonisti né comparse.
Tuttavia, in una società berciante sempre pronta a sguaiare un’opinione quale che sia pur di farsi udire, il sospendere il giudizio risulta essere un alto alto intellettuale nonché una forma di distaccato rispetto verso chi la sofferenza la accusa in maniera diretta. Se questo film ha un merito allora è questo, non prende posizione. E’ come se ci pensasse su prima di rispondere. E la risposta rimane nelle intenzioni. E’ un merito, ma non è filmabile.
Nonostante le polemiche di rito post festival di Venezia sul perché un film italiano non vinca, a maggior ragione un film come questo, così importante, la risposta è molto semplice. Perché non lo merita. Bella addormentata, nonostante sia un buon film non ha un valore, uno sguardo e un’intensità che possa porlo ai vertici di un festival internazionale.
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