Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Marco Bellocchio non ha ancora smesso di tenere i pugni in tasca e all’occorrenza di brandirli. Solo lui poteva riassumere l’Italia cinica, ridicola e grottesca nell’ultima settimana di vita di Eluana Englaro. L’invadenza dei media, l’ingerenza e arroganza dei politici del PDL (l’ectoplasma del PD neanche appare), il Popolo Delle Libertà loro non dei cittadini e della cittadina Eluana tenuta artificialmente in vita per diciasette anni (dal 1992), nonostante lo stato di coma vegetativo. L’autore piacentino fa bene a riprodurre le follie ideate, dette e combinate da quella classe politica, la morte della ragazza non ha fermato le idiozie come quelle pronunciate dal senatore Quagliarello. I tormenti dell’onorevole pidiellino Uliano Beffardi - di formazione socialista, allergico alle scene e all’Immagine quale unica sostanza di molti suoi colleghi - riguardano il voto su una legge ad hoc che non sospenda la nutrizione artificiale, l’idratazione e che vieti il distacco del sondino. La figlia Maria è un’attivista cattolica in contrasto con il padre, ella si reca ad Udine alla clinica La Quiete dove la Englaro è stata trasferita da Lecco, la città di origine. La clamorosa stupidata che la ragazza stesse morendo di fame e di sete è riassunta nella scena all’autogrill in cui Maria e le amiche chiedono dell’acqua da portare a Eluana e il fratello schizoide di Roberto (attivista laico) le tira in faccia un bicchiere d’acqua. La ribellione insita nel cinema bellocchiano è rappresentata dall’anima inquieta di questo personaggio interpretato da Fabrizio Falco, novello Ale/Lou Castel de I PUGNI IN TASCA e tanti altri personaggi della costellazione cinematografica del regista. Da quest’incidente nasce l’amore tra Roberto e Maria spezzato dalle responsabilità del primo verso il fratello disturbato e radicale. Intanto la morte di Eluana ferma il voto contrario di Beffardi - motivato da una dolorosa esperienza familiare - non le sue dimissioni e il riconciliamento con la figlia. La “Bella Addormentata” ideale è la Englaro, ma anche la figlia in coma dell’attrice francese che ha lasciato le scene e gli affetti per dedicarsi anima (pia) e corpo a lei tracheotomizzata in casa. Il marito attore mediocre (impersonato da un Gianmarco Tognazzi cupo e inedito) e il figlio Federico aspirante tale, si recano quasi obbligati e come degli estranei al capezzale di figlia e sorella. Un muro di Ave Marie, santini, statue votive e suore si frappone tra loro. La poesia interrotta di Jacopone da Todi recitata da Federico e il tentativo di porre fine alla farsa-agonia della sorella sono delle inutili grida di disperazione di un figlio a una madre ormai persa nel suo delirio egoistico-religioso. L’altra “Bella Addormentata” è la tossicodipendente Rossa che circuisce il medico Pallido, il quale non scommette sulla sua vita o morte (come i colleghi con Eluana) ma che con spirito di abnegazione e coraggio la salva almeno dal pensiero fisso del suicidio. Egli compie un gesto che va al di là dell’umana carità, squarcia il velo burocratico e distaccato che in genere si instaura tra medico e paziente mettendoci il cuore nella sua professione-missione. E ancora contrappone al pensiero “clinica del suicidio chiamata dignitas” invocato da lei la scelta ugualmente libera di impedirglielo. Questa è la storia più bella ed emozionante del film grazie al tocco lieve e deciso del regista e alle interpretazioni toccanti e indimenticabili di Maya Sansa e Piergiorgio Bellocchio. Non mancano le stoccate lucide e perfide alla politica nei dialoghi tra Beffardi (l’asciutto e ottimo Toni Servillo) e il suo viscido collega capobastone della corrente socialista (dei Brunetta, Cicchitto e Sacconi) impersonato dal bravissimo Gigio Morra o i vaticini del senatore psichiatra luciferino dell’immenso Roberto Herlitzka. Bellocchio oltre a firmare l’ennesimo capolavoro illuminato, coerente e contro (anche nel non prendere premi dalle giurie festivaliere), tiene a battesimo un giovane Michele Placido di nome Brenno. Cameo di Saverio Costanzo nei panni del fotografo di partito.
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